Da Domenico Antonio Cassiano un nuovo contributo alla storia politica di Antonio Gramsci
Domenico A. Cassiano, dopo aver approfondito la storia religiosa, politica e civile della Calabria con la pubblicazione di interessanti volumi in merito, offre ai lettori un nuovo e, soprattutto, particolare lavoro editoriale. Si tratta di un poderoso saggio dal titolo: Antonio Gramsci (1891 – 1937), l’eroismo della ragione.
Il libro, edito da Lugi Pellegrini, dopo essenziali notizie famigliari, in cui si cerca di far luce sulle radici calabro – albanesi della famiglia Gramsci, ripercorre il profilo intellettuale, analizzando la formazione culturale giovanile del politico di sinistra, rinvenendola in autori come Giambattista Vico, Francesco De Sanctis, Antonio Labriola, Gaetano Salvemini ed altri.
Dal saggio emerge anche la distinzione tra i “due Gramsci”: il primo, esclusivamente e solo uomo di partito, militante politico; il secondo quello delle Lettere e dei Quaderni del carcere, ovvero l’intellettuale, le cui riflessioni, non legate direttamente alle urgenze politiche, sono quelle di un “classico”, che parla ancora alla contemporaneità.
“I ricordi di Antonio e di Gennaro Gramsci, nel rendere esplicito l’origine italo – albanese della famiglia, scrive nel primo capitolo del libro il prof. Cassiano – non vanno oltre il nonno Gennaro, colonnello della Gendarmeria borbonica, successivamente inquadrato, alla caduta del Regno di Napoli, nell’Arma dei Carabinieri, figlio di Don Nicola Gramsci, che compare negli atti notarili di compravendita, rogato dal notaio Troiano di Plataci nel 1792 e del 1820, redatto dal notaio Zeno e trascritto a Plataci dal notaio Bellusci”.
Ed aggiunge che “la famiglia Gramsci al contrario di quanto avvenne solitamente per le famiglie rural – borghesi albanesi, schierate con gli intellettuali col movimento illuministico – riformatore meridionale del 1848, difese il governo borbonico, meritandosi anche qualche ricompensa militare. Il nonno Gennaro, a Castrovillari, nel 1848, combatté contro i volontari, guidati da Domenico Mauro (1812 – 1873) nella disperata difesa del governo provvisorio … che in gran numero, erano albanesi di Spezzano, San Demetrio, Vaccarizzo, San Cosmo, e dello stesso suo paese, Plataci …” .
“Le origini della famiglia di Antonio Gramsci trovano, dunque, le loro radici nella comunità albanese di Plataci – afferma il prof. Cassiano.
Forse una sorta di vendetta della storia, considerato che da quella famiglia. conservatrice e borbonica, è venuto fuori un rivoluzionario comunista … Una delle grandi menti e dei grandi intellettuali del secolo passato, che ha lasciato un’orma profonda nella cultura italiana ed europea”.
Ultimata la fase biografica, in apertura del nuovo capitolo, attraverso una serie di riferimenti specifici su tre personaggi, tra loro diversi, ma in qualche modo convergenti: Ignazio Silone, Costantino Mortati e Antonio Gramsci, l’autore del saggio contribuisce a dare alcune informazioni sulle scelte di campo iniziali di Antonio Gramsci che diventeranno, con la maturità, scelte morali e politiche, supportate da circostanze, fatti ed accadimenti vari.
In Ignazio Silone (1900 – 1978), scrittore, questa genesi remota e nel tempo consolidata viene espressa nel testo Uscita di sicurezza, mentre in Costantino Mortati (1891 – 1985), il futuro e famoso costituzionalista, di famiglia borghese calabro – albanese, in un infuocato articolo, pubblicato su La Giovane Calabria, dove si evidenziano le dure condizioni di vita dei ceti subalterni e si lancia un appassionato appello ai lavoratori calabresi per esortarli al risveglio, all’associazione ed alla lotta per vincere “il doloroso spettacolo dell’apatia del popolo calabrese … che pare rassegnato ai mali di cui si lagna”.
Antonio Gramsci, invece, da studente del liceo Dettori di Cagliari, scrive il primo saggio politico su oppressi e oppressori, evidenziando le lotte incessanti che l’umanità combatte da “tempo immemorabile” e sostenendo che l’umanità nella libertà, nel riconoscimento del diritto al lavoro, all’istruzione, alla sanità nel definitivo superamento della fame, non ha raggiunto il livello più alto di civiltà.
Per Gramsci – ci ricorda il prof. Cassiano – “gli uomini non sono che verniciati di civiltà …, perché il diritto del più forte è il solo riconosciuto …. E poi ancora … la Rivoluzione francese ha abbattuto molti privilegi, ha sollevato molti oppressi; ma non ha fatto che sostituire una classe all’altra nel dominio. Però ha lasciato un grande ammaestramento: che i privilegi e le differenze sociali, essendo prodotti della società, e non della natura, possono essere sorpassati”. Queste ingiustizie, tuttavia, potrebbero essere annullate “dal processo storico, all’uopo finalizzato, facendo riferimento allo storicismo che da Vico arriva ad Antonio Labriola ed a Benedetto Croce”.
A questi principi Antonio Gramsci non verrà mai meno, sia opponendosi al fascismo sia alla brutale dittatura di Stalin, parlando sempre chiaro, dimostrando, in tante circostanze, che la dignità e la libertà di un uomo sono intoccabili.
Gramsci, afferma il prof. Cassiano nel suo studio, quando giunge ventenne a Torino per frequentarvi l’Università aveva già maturato una buona preparazione culturale. Gradualmente, i suoi scritti, sempre lucidi e attenti alle analisi politiche ed originali nello stile, venivano pubblicati sull’Avanti! o su altri organi di stampa e contribuivano a farlo crescere.
A Torino fece – come egli stesso racconta – quelle esperienze civili e morali nel senso etico – politico strettamente connesse alla propria vita ed ai suoi avvenimenti, considerate nel loro valore universale o nazionale, che hanno condizionato la sua azione e la propria vita. Come per esempio la collaborazione all’Avanti!, gli scritti apparsi nel Grido del Popolo ed in Città futura, la fondazione dell’Ordine Nuovo, la collaborazione con Piero Gobetti, la scissione dal Partito Socialista e la fondazione del Partito Comunista, la tenace opposizione al fascismo derivata soprattutto da bisogno culturale di revisione della storia nazionale …
Nel terzo capitolo il prof. Cassiano coglie la storia reale della nazione e delle classi sociali, analizzando le Lettere e i Quaderni del carcere di Gramsci, dopo un’indagine sugli intellettuali italiani e sulla cultura popolare.
Illustra, successivamente, i concetti Gramsciani di non cultura, individuata nel sapere enciclopedico, che ammassa nella memoria una certa quantità di dati, che snocciola in ogni occasione per creare una barriera fra sé e gli altri e per dare vita all’ intellettualismo incolore, capace solo di tutta una caterva di presuntuosi e vaneggiatori …
Per Gramsci – scrive il prof. Cassiano – la cultura “è cosa ben diversa, è organizzazione, disciplina del proprio io interiore, è presa di posizione della propria personalità, è conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri doveri … Rivoluzione culturale suscitata nell’anima popolare, con presa di coscienza, da parte dei diritti e dei doveri dei ceti subalterni (Socialismo e cultura).
In queste teorie – afferma il prof. Cassiano – “Gramsci si ritrova con Francesco De Sanctis, sostenitore di un’azione culturale laica rivolta anche alle classi popolari e subalterne, capaci di generare un’etica concettuale nazionale più ampia e meno esclusiva, diversa dalla Destra storica”.
Nel suo saggio si sofferma, poi, su Benedetto Croce (1866 – 1952) principale ideologo del liberalismo, anche se precisa che “non bisogna trascurare il fatto che, all’epoca un giudizio obbiettivo sulla posizione politica crociana andava incontro a non poche difficoltà di interpretazione, dovute, soprattutto al lento precisarsi del crocianesimo ed alla indulgenza per atteggiamenti negativi e polemici”.
Informa anche il lettore che, dopo il discorso mussoliniano del 3 gennaio 1925, Benedetto Croce, pur sempre rappresentante del modernismo borghese, si schierò contro il fascismo, ruppe i rapporti con Giovanni Gentile, scrisse il famoso Manifesto in risposta a quello degli intellettuali fascisti … E che in coerenza con la presa di posizione antifascista, il Croce elaborò la teoria della “religione della libertà”…
I capitoli intermedi del libro del prof. Cassiano analizzano l’attualità del pensiero di Piero Gobetti, precoce e acuto ispiratore dell’antifascismo di matrice liberale e radicale. Si soffermano, inoltre, sullo Stato Liberale ed il Fascismo, sulla Rivoluzione fallita e la rivoluzione passiva, sulla Questione meridionale e il Social fascismo.
Gramsci e Gobetti (1901 – 1926), “sia pure da angolazioni diverse, scrive l’autore del testo, interpretano la pregressa storia del regno d’Italia per capire il presente che, nell’immediato dopoguerra, si presentava nebuloso, tumultuoso, ed annunziava un avvenire che avrebbe potuto essere e consistere o nel dispiegarsi di una piena ed efficiente democrazia col riconoscimento del suffragio universale oppure ripiegare in un regime autoritario”.
Ambedue, comunque, erano giunti alla conclusione che le radici del fascismo andavano ricercate e identificate nella incompetenza e nella complicità della dirigenza liberale.
Il complesso delle vicende interferì negativamente nel dispiegarsi del processo di trasformazione democratica del sistema liberale italiano; anzi lo interruppe bruscamente … “Il fascismo al potere, ci ricorda ancora il prof. Cassiano, con una serie di decreti – leggi, operò la fascistizzazione dello Stato; soppresse la libertà di stampa, soffocò l’attività politica …. Gramsci privato della immunità di stampa parlamentare come deputato, fu arrestato e condannato; Gobetti, bastonato a sangue, moriva a Parigi, a ventisei anni”. E ricordando nel libro il “sacrificio eroico” di Giacomo Matteotti, si sottolinea l’esistenza di una crisi italiana, accentuata dalla guerra e costituita da non risolti e irriducibili contrasti.
Così come ci si sofferma sull’amicizia con Sandro Pertini, socialista e futuro Presidente della Repubblica Italiana, che fu in carcere con Gramsci a Turi e con lui strinse allora amicizia “sincera”, che rivestiva un valor particolare in quell’epoca in cui si consumava un aspro contrasto tra comunisti e socialisti.
Il penultimo capitolo, dedicato al Crocianesimo e alla filosofia della prassi, elenca gli autori che hanno avuto notevole rilevanza nell’apprendistato culturale di Antonio Gramsci, contribuendo a sprovincializzarlo: Benedetto Croce, Gaetano Salvemini, Carlo Marx, giornali come l’Avanti!, La Voce, e poi ancora: Giambattista Vico, Francesco De Sanctis, il tedesco Novalis, Antonio Labriola (punto di riferimento per Gramsci nella valutazione e selezione della scolastica marxista italiana).
A conclusione del pregevole lavoro, il prof. Cassiano scrive che “dalla analisi della biografia emerge con evidenza che il notevole impegno intellettuale e politico del Gramsci si scandisce in due precisi periodi”.
Il primo fino all’arresto dell’ 8 novembre 1926, caratterizzato, oltre che dal consueto e intenso lavoro negli studi, dalla iscrizione al Partito Socialista, dalla attiva partecipazione alla vita politica; il secondo dalla detenzione di Turi fino alla morte (1937), per lo sconto dell’iniqua pena comminatagli dal tribunale del Duce …
E poi aggiunge che “durante tutto il periodo della ingiusta detenzione, Gramsci, esplicò tutta la sua vulcanica attività intellettuale per analizzare a fondo la storia civile, politica e culturale europea al fine di indagare le possibili cause della emersione dei regimi autoritari, della degenerazione dei sistemi liberali democratico – borghesi, perseguendo il suo antico progetto della possibile costruzione di un nuovo modo di governare, collegato ad un radicale rinnovamento culturale anti-borghese”.
Il risultato della ricerca intellettuale gramsciana – anche per il prof. Cassiano – che racconta – a mio avviso – i fatti per tramandare ai posteri anche il proprio pensiero di libertà e di tolleranza – è attestato, soprattutto, dai Quaderni del carcere e dall’insieme delle Lettere, “che costituiscono, oltre che un drammatico documento della sua condizione umana di perseguitato dalla dittatura imperante, anche un notevole lavoro letterario, entrato meritatamente negli annali della letteratura”.
“Se le giuste osservazioni gramsciane avevano una loro valenza per fatti ed avvenimenti degli anni trenta del ‘ 900, tuttavia oggi sono ancora attuali, scrive infine il prof. Cassiano. E ribadisce che “Gramsci vive ancora, con le sue idee sulla democrazia e contro la fase predatoria dello sviluppo umano che ha creato paurose e disastrose diseguaglianze”.
Gennaro De Cicco