1870 – Il salgemma e la miniera di Lungro

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Fino agli inizi degli anni 60 del secolo scorso il sale, che si acquistava nelle Rivendite, era il salgemma, proveniente dalle saline di Lungro.

Si vendeva in grosse pietre e le donne lo riducevano a pezzi e lo raffinavano nei sazìeri (mortai), generalmente di legno e con un pestello di pietra di fiume.

Non frequentemente ne venivano fuori delle gemme di sale, che erano preziose, come si dirà.

Ricordiamo, agli appassionati di “magia” e scongiuri, che si stava attenti, da parte delle donne, per recuperare gli “occhi di sale”, ossia le gemme di sale anzidette, perché avevano il potere magico di tenere lontano la jettatura. Quelle gemme, insieme ad altro, si ponevano negli scapolari appesi al collo dei bambini. Gli adulti le tenevano in tasca, così l’oculus maleficus, sempre in agguato, non poteva avere effetto.

Il lavoro di estrazione del sale era lungo e faticoso. La descrizione delle miniere nell’Ottocento è tracciata minuziosamente. Negli anni 70 del 1800 così se ne scrive: “La Miniera di sale di Lungro giace a Sud del Comune, sulle falde ovest di una piccola catena di colline che separa le valli dei torrenti Galatro e Tiro, nella località detta la Salina, a circa 3 chilometri dal paese seguendo una stradaccia appena praticabile per piccoli carri. L’ingresso alla miniera trovasi a circa 400 metri sul livello del mare e circa 200 sotto il livello dell’abitato di Lungro”.

In quegli anni si hanno notizie di natura varia e interessanti: “Vi lavorano un dipresso 500 persone. Il prodotto annuo può calcolarsi a 60.000 quintali di salgemma puro, per ottenere il quale si estrae dalla miniera un peso lordo di quintali 187.000. Il rimanente, che forma due terzi del totale, sebbene ricco assai di sale e che meriterebbe di certo di esser utilizzato è gettato via!”.

Lo scarto, come si vede, era di 127 quintali: due terzi del totale. Questo fa pensare che il recupero del sale non era fatto con grande attenzione.

Il lavoro era rimasto per secoli uguale, tranne qualche miglioramento nella prima metà dell’800.

L’autore, che ne scrive e che stiamo proponendo, precisa: “il minerale è portato alla superficie a schiena di uomini, non altrimenti di quanto si soleva fare quando queste feracissime contrade formavano parte della Magna Grecia e quando il vocabolo minatore suonava galeotto”.

Apprendiamo altre notizie, che sono importanti, dato che da decenni l’estrazione del sale è stata sospesa e la miniera è stata chiusa.

La miniera di sale di Lungro è tra le più profonde dell’intiero regno. I lavori consistono in numerose gallerie, site a varie profondità. L’accesso all’interno si effettua mediante scale e piani inclinati ed il numero dei gradini per discendere al punto più imo è di circa 1200, tutti tagliati nella roccia, seguendo sempre il giacimento di salgemma”.

Una curiosità: quando, fino all’esaurimento delle scorte, in seguito alla chiusura della miniera, si aveva il salgemma e il sale marino, le nostre donne sostenevano che il secondo era meno buono e faceva guastare i salami, che, allora si lavoravano in casa. Era vano spiegare che cloruro di sodio era l’uno e l’altro.

Riguardo a quanto lamentavano le donne, non si poneva attenzione alla mutazione del clima e, soprattutto, all’introduzione delle razze suine dal pelo bianco, che non avevano la compattezza delle carni dell’indigeno porco nero, che resisteva ai rigidi inverni e aveva carni sode, a differenza dell’altro. Ma, una giustificazione, anche se inesatta, andava data, maledicendo lo Stato, che aveva chiuso quelle miniere, causando il citato disastro.

Quanto riportato e evidenziato ha sapore di altri tempi, perciò i più avanti negli anni l’avranno richiamato alla mente e le giovani generazioni, se ve ne sono fra i lettori, avranno trovato notizie di minerali e forme di estrazioni arcaiche.

Ricordiamo, come curiosità, che anche Acri aveva la sua miniera di sale su Serra Crista, fatta chiudere durante la dominazione borbonica e mai più aperta.

Giuseppe Abbruzzo

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