La patata nel Regno di Napoli

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Le patate, oggi diffusissime dovunque, stentarono ad arrivare sulle tavole dei nostri antenati.

Il 1764 una tremenda carestia colpì il Regno di Napoli.

L’abate Ferdinando Galiani, noto per le sue numerose pubblicazioni e per un vocabolario napoletano, suggerì, più e più volte al ministro Tanucci l’opportunità di introdurre nel Regno di tipi di coltivazioni, diversi da quelli usuali, fra  questi la patata, per combattere il flagello citato.

Il Ministro, però, gli aveva risposto: “Non speri Ella, che qui si possano introdurre pommes de terre, topinamburs, o patate. Qui non si vuole di straniero altro che il vizio, lusso, e perdizione”.

L’Abate si trovava in Francia, dove la coltivazione della patata era si era fatta conoscere con uno stratagemma che, altra volta, su questo sito ho riportato e, perciò, evito di essere ripetitivo.

Da Parigi egli scrive al Ministro che, finalmente, aveva capito che il popolo aveva fame e, forse memore del detto calabrese: ‘U pani è alla vucca ‘e du cannùnu (ndr traduzione per i non calabresi: Il pane è alla bocca del cannone), sapeva che il popolo affamato, prima o poi si sarebbe ribellato.

Tanto viene confermato dalla lettera, che gli invia Galiani il 30 aprile 1764, nella quale si legge: “Non tarderò a mandarne per la via di Marsiglia i semi, ed un distintissimo ragguaglio per la coltura”.

Li avrebbe mandati per “certi Zampognari che fanno il giro d’Europa. Sono questi la sola razza di Napoletani Viaggiatori onesti uomini”. A questi l’Abate aveva suggerito, o meglio consigliato “di acquistar semi di patate in Inghilterra e portarle a piantare al loro paese, che sono le montagne di Sora etc”.

Apprendiamo che alcuni paesani dei suddetti, già l’anno precedente, avevano importato le patate e “seminate con successo”. Questo confermava che, il tanto citato Autore avesse colto nel segno e, perciò, scrive: “Bisogna che la mia idea sia buona giacché quel ch’io ho trovato per meditazione i Zampognari l’hanno fatto per istinto”.

L’Abate, saggiamente, conclude: “Se si fa conto che in tutto questo tempo sono uscite più di mille dissertazioni sull’amministrazione de’ grani, che non hanno concluso nulla, bisogna dire che una patata val meglio che una prammatica”.

Quella che si è voluto riportare è una notizia sulle diffidenze sulla cultura delle patate e le difficoltà che si sono incontrate per introdurne la diffusione.

Acri, come ho scritto altra volta, ebbe l’introduzione di questo tubero ad inizio del 1806, ad opera del nostro concittadino Biagio Giannone.

Giuseppe Abbruzzo

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