Cantannu l’anima

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E’ da un po’ che i Cantannu cuntu non incidono qualcosa di nuovo. Riascoltarli porta con sé il pericolo del già sentito e del già visto, della ripetizione che sa vagamente di stantìo.

Eppure le loro esibizioni registrano immancabilmente presenze assolutamente degne di nota. Chi li va a sentire non lo fa passivamente, giusto per passare qualche ora in assenza di una valida alternativa. La performance è sempre accompagnata da un attivo coinvolgimento che ti porta sotto il palco a passo di tarantella e a cantare canzoni che tutti conoscono.

Durante la Notte bianca si sono esibiti, grazie alla volontà dei commercianti del luogo, a Jungi, nei pressi del distributore Agip. Inizio previsto all’una e all’una sono arrivate le prime note. In pochi minuti tutto lo spazio intorno si è riempito fin sopra la scalinata che collega Jungi a Piazza Matteotti. Un’ora e mezza di festa, con quell’empatia che segna il confine tra l’ordinario e l’eccezionale.

Sul palco i veterani Carlo Malito ed Elio Curto, con Mauro Ritacco, Angelo Gaccione e due nuovi innesti: Gianluca Russo e Pasqualino Mitidieri. Le dinamiche fisiologiche di un’attività pluridecennale hanno inevitabilmente apportato delle modifiche nella formazione, ma, grazie all’acume insito in certe scelte, il gruppo ha sempre mantenuto un livello decisamente alto.

Il sistematico successo dei concerti dei Cantannu cuntu non può essere riduttivamente ricondotto a una collettiva tarantella e alla bravura dei musicisti e dei cantanti. C’è anche questo, ma sarebbe miope non vederci di più.

Nel corso del tempo questi eterni ragazzi sono riusciti a sfruttare, anche grazie all’apporto del prof. Giuseppe Abbruzzo, indefesso custode di una tradizione letteraria altrimenti sepolta dalla polvere del tempo e dell’incuria, in maniera straordinaria la naturale musicalità del nostro dialetto.

Lo hanno fatto attingendo alla tradizione di componimenti di anonimi popolari, di Salvatore Scervini, Biagio Autieri e tanti altri, dando loro un corredo sonoro di grande impatto, ma anche attraverso una creatività che li ha portati a concepire inediti i cui testi raggiungono prodigiose profondità.

La loro non è soltanto una operazione culturale finalizzata unicamente alla riscoperta di un patrimonio, ma anche alla identificazione di un’intera comuntià con il proprio passato. E’ un fatto di sangue che scorre nelle vene, l’identità che si è sedimentata in secoli di vita, tracce che ci dicono chi siamo e da dove veniamo.

Con tutto il rispetto per certe espressioni della tradizione popolare da cassetta, qui siamo a un altro livello.

Durante la Notte bianca ho forzato la mia inveterata ritrosia a far tardi e all’una ero a Jungi. La location in verità era un po’ sacrificata e assai poco incline all’acustica di un concerto, ma è bastato poco a dimenticarlo. Nel corso degli anni mi è capitato spesso di assistere a un concerto di quello che oggi è un sestetto, ma stavolta mi porto dietro sensazioni diverse.

Considerata la traiettoria temporale del gruppo, ti aspetteresti un pubblico dai trenta in su e di certo non gruppetti nutriti di sedicenni e appena maggiorenni cantare e ballare in un tutt’uno con gli artisti. E’ davvero un bel messaggio che induce all’ottimismo e fa giustizia di una certa retorica sulla superficialità di un mondo giovanile rappresentata con lo smartphone in mano e il vuoto in testa.

Da qui la sensazione più bella: i Cantannu cuntu hanno un interessante presente e non soltanto un nostalgico passato. Di più, c’è un futuro tutto da scrivere.

Piero Cirino

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