Fuga di personale dal Servizio Sanitario Nazionale: un fenomeno allarmante
Quello a cui stiamo assistendo negli ultimi tempi sta assumendo le dimensioni di un vero e proprio esodo. Migliaia di medici che stanno abbandonando il pubblico e con esso il miraggio, un tempo tanto ambito, del posto fisso. Solo nel 2022, sono stati 2800 i camici bianchi che hanno abbandonato gli ospedali pubblici per approdare nel privato, sempre più organizzato e gratificante. Prima del covid sostanzialmente il fenomeno era inesistente. Tante le cause di un fenomeno che dovrebbe allarmare e non poco, tra cui: le retribuzioni tra le più basse di Europa; le ore di straordinario non pagate; i contratti che non ripagano dell’inflazione; turni massacranti, scarsità di personale. A tutto questo si aggiungano i continui “attacchi” sotto forma di avvisi di garanzia. Oltre il 90% dei provvedimenti finiscono con archiviazione o assoluzione ma è innegabile che questo aspetto incida. A fronte di tutto questo si assiste a una sostanziale inerzia da parte di chi governa. Le strutture sanitarie sono rimaste nella generalità quelle dell’epoca precovid, così come i posti di terapia intensiva. Questo fa si che, in caso di nuova pandemia, avremmo sostanzialmente gli stessi problemi. Passata la paura iniziale, tutto è ritornato come prima. Ci sono realtà, come il Nord, dove il privato non solo è più organizzato ma finisce per risultare anche più attraente. Se il pubblico non si adegua, finirà per non essere nelle condizioni di fronteggiare le richieste di un’utenza che sono sempre in aumento in virtù dell’aumento della vita media. La carenza di medici – specie di specialisti – fa sì che i medici scelgano dove andare alla ricerca di posizioni di lavoro più gratificanti. Se il fenomeno non viene arginato, il S.S.N. finirà, in molti casi, per non essere più nelle condizioni di fronteggiare le richieste, con l’ovvia conseguenza di un privato sempre più organizzato che, a pagamento, sarà nelle condizioni di offrire ciò che il pubblico non potrà più dare. Altro elemento da non sottovalutare è l’eccesso di burocratizzazione che finisce per rallentare e di molto l’azione del medico.
Una riforma del S.S.N. si impone. Un servizio pubblico che finisca per risultare meno allettante per i medici, lo sarà, inevitabilmente, anche per l’utenza, che sarà costretta a scegliere se curarsi a pagamento, chi può, a aspettare tempi biblici per prestazioni pubbliche che già oggi vengono erogate con difficoltà. La cosa potrebbe assumere proporzioni drammatiche per quelle patologie (cardiovascolari, oncologiche, etc), che per loro natura abbisognano di tempi brevi. Si impone un cambio di prospettiva prima che sia troppo tardi. Tra le misure urgenti per impedire la deriva del S.S.N., c’è sicuramente quella di garantire condizioni di lavoro sereno, retribuzioni proporzionate al livello di rischio, investire non solo in risorse umane ma anche in infrastrutture, spesso inadeguate e obsolete. Altro elemento è la necessità di snellire gli ospedali da carichi lavorativi che potrebbero essere gestiti dal territorio se funzionante. Tutto ciò che non è chiaramente codice rosso non dovrebbe afferire ai pronto soccorso. Una maggiore integrazione tra territorio e ospedale permetterebbe, poi, di accelerare il trasferimento di quei casi che, dopo attenta valutazione, richiedono il ricovero. Un sistema integrato ospedale-territorio che aumenterebbe l’efficienza del sistema e renderebbe il lavoro meno massacrante. Il tutto, ripetiamo, prima che sia troppo tardi.
Massimo Conocchia