I “risvolti” storici
“Non è necessario andare in Siria per vedere a che trabocchi una plebe, a cui sotto nome di libertà si è infuso il veleno del comunismo” (749 – Bronte). Quando ritenete sia stata elaborata l’affermazione?
Nel nostro saggio: “Don Vincenzo e il Teologo” (polemica apparsa su giornali negli anni immediatamente successivi all’unità d’Italia) tra Vincenzo Padula e don Saverio Nicoletti, che si firmava il Teologo, si faceva cenno a Liborio Romano, come esempio tipico di traditore di Casa Borbone. Allora abbiamo dato varie notizie. Vogliamo ritornare sul personaggio, riportando quanto La Civiltà Cattolica, periodico dei gesuiti, pubblicava sul numero del 13-27 settembre 1860:
“Il sig. Liborio Romano avea saputo dare di sé e della sua fedeltà e devozione così bella mostra al proprio Sovrano, che ne avea carpita la intiera fiducia”.
Francesco II, ritenendo che il suddetto fosse persona devota, aveva ritenuto “prudente e savio partito il commettere la guardia della sua Capitale alle milizie cittadine, sotto la direzione dello stesso Liborio Romano”. A un certo momento aveva capito, però, che il suo ministro era doppiogiochista e gli diceva: – Do’ Libo’, guardatevi ‘u cuollu! (Attento ché vi farò giustiziare).
Come è noto Francesco II lasciò Napoli per rifugiarsi nella fortezza di Gaeta. “Appena partito il Re, – scrive La Civiltà Cattolica – il devoto Ministro” prese contatti con Garibaldi e gli inviò la seguente lettera:
“All’invittissimo Generale Garibaldi Dittatore delle Due Sicilie, Liborio Romano Ministro dell’Interno.
Con la maggiore impazienza Napoli attende il suo arrivo per salutarla il Redentore dell’Italia, e deporre nelle sue mani i poteri dello Stato ed i proprii destini. In questa aspettativa io starò saldo a tutela dell’ordine e della tranquillità pubblica: la sua voce, già da me resa nota al popolo, è il più gran pegno del successo di tali assunti.
Mi attendo gli ulteriori ordini suoi e sono con illimitato rispetto di lei Dittatore Invittissimo
Napoli 7 Settembre 1860 Liborio Romano”.
Contemporaneamente faceva affiggere alle cantonate di Napoli il seguente manifesto:
“Cittadini.
Chi vi raccomanda l’ordine e la tranquillità in questi solenni momenti è il liberatore d’Italia, è il Generale Garibaldi. Osereste non esser docili a quella voce, cui da gran tempo s’inchinano tutte le genti Italiane? No certamente. Egli arriverà fra poche ore in mezzo a noi, ed il plauso che ne otterrà chiunque avrà concorso nel sublime intento, sarà la gloria più bella cui cittadino italiano possa aspirare. Io quindi, miei buoni cittadini, aspetto da voi quel che il Dittatore Garibaldi vi raccomanda ed aspetta.
Napoli 7 Settembre 1860 Il Ministro dell’Interno e della Polizia Generale: Liborio Romano”.
Don Liborio, che continuava a firmarsi come ministro del regno che lui affossava, si preparava ad accogliere la giusta ricompensa dai vincitori.
La Civiltà Cattolica non poteva mandar giù tutto questo. Bersaglio diviene Garibaldi, perché da anticlericale, gridava che bisognava conquistare lo Stato Pontificio e far divenire Roma capitale dell’Italia unita. Questo non garbava al clero e ai ferventi credenti. Nella suddetta rivista si commentano, perciò, quegli avvenimenti, riportando parte del proclama che il condottiero aveva inviato ai Napoletani, nel partire da Quarto: “Codesta voce, innanzi a cui doveano chinarsi (e s’inchinarono pur troppo) i Napoletani”, diceva loro che essi erano “un nobile ed imponente centro di popolazioni italiane, che molti secoli di dispotismo non hanno potuto umiliare né ridurre a piegare il ginocchio al cospetto della tirannia”. E giù col resto.
Come finirà la storia? Don Liborio accoglierà i nuovi venuti, che lo nomineranno responsabile dell’ordine pubblico. Per farlo chiamò attorno a sé Tore de Rienzo e quanti gli facevano da manovalanza, cioè i camorristi ben noti. Alla fine si dovette destituire Don Liborio e mandare all’isola i “responsabili dell’ordine pubblico”.
Giuseppe Abbruzzo