Le piazze francesi e la scarsa attenzione verso il disagio e la diversità

Ciò che sta succedendo in Francia in queste ore non è nuovo né meraviglia più di tanto. Non è la prima volta che le periferie esplodono mettendo in luce una rabbia mai sopita. Stavolta, però, c’è qualcosa di più. La scintilla è stata la morte di un minorenne per mano di un poliziotto. Episodi che ci riportano alla mente vicende analoghe degli Stati Uniti e che sono espressione di un’integrazione mai compiuta e di una politica che non ha mai veramente puntato su un processo integrativo reale

Le periferie francesi sono espressione di un degrado palpabile che nessun governo ha mai veramente affrontato. L’Italia, con tutti i suoi problemi, non ha mai veramente conosciuto fenomeni di razzismo così marcati, né le forze dell’ordine si sono mai macchiate di crimini efferati, se escludiamo alcune pagine poco nobili come la vicenda della caserma Diaz al G8 di Genova nel 2001 e altri eventi isolati. Seppure il processo unitario nel nostro Paese non si sia mai veramente compiuto, il razzismo, perlomeno nei termini cui assistiamo in altre parti del mondo, non ha mai preso veramente piede. Esiste come fenomeno individuale o di piccole forze ma non è trapelato nel tessuto connettivo del paese in maniera tale da divenire un “principio dominante”.

La Francia assiste a tutte le sue contraddizioni e si trova ad affrontare le conseguenze di un’integrazione non solo mai raggiunta ma mai veramente cercata. Eppure parliamo di una Paese che ha visto nascere e diffondere nel mondo i principi non solo di libertà eguaglianza e fratellanza ma anche quelli, non meno importati, di tolleranza e rispetto della diversità. Come mai, dunque, proprio oltre le alpi il fenomeno è così drammaticamente presente? Al di là dei princìpi appena enunciati, la Francia non ha mai veramente smesso di sentirsi la base di un impero coloniale e non ha mai veramente considerato i cittadini che venivano da quelle realtà in maniera paritaria.

Se questo è vero, la conseguenza di una discriminazione storica non poteva che essere un’emarginazione cronica, costante con conseguente rabbia atavica accumulata e che periodicamente, alla prima scintilla, non può che esplodere. Il presidente della Repubblica si limita a condannare il social come strumento di propagazione della rabbia e della violenza.

Sarebbe come, di fronte a un omicida armato di coltello, si condannasse non l’uomo e le ragioni di quel gesto ma il coltello; ossia si analizza lo strumento di propagazione della violenza e non le cause che quel fenomeno alimentano. L’atteggiamento borioso di Macron, pronto a dare lezioni a chiunque, è forse l’espressione più alta di come lo Stato si ritenga al di sopra di ogni colpa. Lo stesso atteggiamento il presidente francese lo riserva a quegli Stati – fra questi il nostro Paese – che osano mettere in dubbio la validità di un’Europa a trazione franco-tedesca.

Non siamo certamente amici del Presidente Meloni ma l’atteggiamento francese nei nostri confronti va al di là della partigianeria e ci investe in quanto italiani. In tempi recentissimi il ministro dell’Interno francese di è permesso di offendere gli italiani al punto tale che il nostro ministro degli Esteri è stato costretto a disdire una visita ufficiale già programmata.

In sintesi, un atteggiamento scostante e di superiorità che serpeggia a tutti i livelli e che, da parte di chi lo vive quotidianamente sulla propria pelle, rischia di divenire una potente scintilla nelle paglia asciutta e assolata di questa torrida estate appena affacciata.

Massimo Conocchia

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