Un tempo: L’adorazione della donna
La cronaca dei giorni nostri è stracolma di fatti di sangue, dei quali sono vittime le donne.
Nella Calabria d’un tempo si riteneva la donna un essere particolare. L’uomo diceva di lei, che portava i capelli lunghi, variamente aggiustati, ma aveva, per contro, la mente corta: era poco intelligente. Questo, però, era contraddetto dal matriarcato, non riconosciuto dall’uomo, ma che, di fatto, imperava. Si considerava, infatti: L’òmu ccu’ lu carru / e la fìmmina ccu’ lu sinu, cioè è inutile che l’uomo porti il ben di Dio, caricandone un carro, se la donna sperpera, cacciando fuori di casa il tutto a grembiulate. Se ne evidenziava così la capacità in economa, perché la famiglia progredisse. Il maneggio di casa, per quanto detto, era, perciò, della donna e non dell’uomo.
Nei momenti in cui si doveva sbrogliare una matassa era la donna a trovare la soluzione: ‘A donna, quannu vo’ trova la scusa: / minti la pezza alla rrobba bucàta! (La donna, quando vuole trova la scusa: / mette la toppa alla roba bucata! – Ossia sa trovare, per la sua mente acuta, il rimedio, la scusa opportuna). Potremmo continuare, ma cediamo al sommo Vincenzo Padula, che così la presenta, relativamente ai suoi tempi: “Una donna di Calabria vale quanto l’uomo d’ogni altro paese: i fianchi vigorosi, gli occhi arditi, i polsi robusti, le gote floride, la ricca capigliatura, e l’accento minaccioso la dicono nata nel paese dei terremoti e dei vini forti. Vive sulle montagne? gonna di colore vermiglio, come i gruppi dei lampi che saltellano per le montagne. Vive presso il mare? gonna azzurra come gli olivi, sotto cui mena la vita. Maneggia la conocchia ed il fucile, la spola e la scure, ed il suo sguardo è infallibile come il suo fucile. Ti fissa sopra lo sguardo? Ti raddoppia la vita. Ti fissa sopra il fucile? Te la toglie”.
Il giovane s’innamorava d’una ragazza, ma guai ad avvicinarla, a rivolgerle la parola, perché avrebbe dovuto affrontare i fratelli che, per vendicare l’onore offeso, menavano le mani, nella migliore delle ipotesi, o tiravano fuori i coltelli o gli schioppi e quel che poteva succedere è immaginabile. Lui, l’innamorato, fingendo di passare, per caso, nei pressi della casa della ragazza, sulla quale aveva messo gli occhi, ne cantava le lodi:
La lun’è janca e vua brunetta siti,
illa l’argìentu e vua l’oru portati;
la lun’ammanca e vua sempri crisciti,
la luna accrìssa e vua nun accrissàti;
la luna nun ha vampi e vua l’aviti,
illa perdi la luci e vua la dati
e si, bella, la luna la vinciti,
cchiù bella de la luna vua simbrati!
Diamo la traduzione, per quelli che non conoscono il dialetto o hanno difficoltà nel tradurlo: La luna è bianca e voi brunetta siete, / lei l’argento e voi l’oro portate: / la luna decresce e voi sempre crescete, / la luna s’ecclissa e voi non v’ecclissate; / la luna non ha calore e voi l’avete, / lei perde la luce e voi la date / e se, bella, la luna la vincete, / più bella della luna voi sembrate.
Questa e mille altre canzoni cantava l’innamorato, composte col cuore, dal quale sgorgava vera poesia. La luna fida amica degli amanti è presente in molti canti e uno apre con un verso del noto poema siciliano: La baronessa di Carini: “Vaju de notti, cumu va la luna, / sempri circànn’ a tia miu caru beni…” (Vado di notte, come va la luna, / sempre in cerca di te, caro mio bene…).
Pure qualcosa non quadrava. La donna era un “essere decaduto” tanto che, tramanda il citato Padula: “Il pastore che caglia il latte, deve avvolgere il presame in un pezzo di tela appartenente ad uomo e non a donna; altrimenti è sicuro che il latte non cagli. La parte inferiore della camicia della donna si dice musto: coi fili di questo musto se si fa un lucignolo per la lucerna, il lucignolo non arderà”.
Come si vede c’è della contraddizione, anche perché se si trattava d’una zitella le cose cambiavano: “se la donna è zitella, l’opinione sul conto suo è tutt’altra. Il tocco delle dita di lei si crede portentoso, profetica la parola, ispirato lo sguardo. La zitella fabbrica il pane? Esso le cresce nelle mani, ed anche senza lievito riuscirà gonfio, alluminato e spugnoso più del pane fermentato. La famiglia compra un bicchiere, una bottiglia, un orciuolo? Perché acquistino buono odore, la prima a porvi su le labbra deve essere la zitella. Vanno le donne a raccorre i covoni e spigolare? Se nel campo vi è uno stelo a doppia spiga, colei che lo trova è certamente zitella. Avete un’infiammazione negli occhi? L’unico farmaco che può guarirvi è la saliva della zitella. Ella riceve il più delicato rispetto nella famiglia, e la donna più corrotta e l’uomo più dissoluto non osano in Calabria profferire una parola meno che onesta innanzi a lei. Quanto son belli e poetici i seguenti proverbi, e quant’altezza di sentire manifestano in Calabria! La zitella è santa come un altare. L’uomo che gitta un cattivo pensiero nell’anima di una zitella è simile al Demonio che versò il male nel paradiso terrestre. Tre sole cose hanno fragranza in questo mondo, il fiato del fanciullo, della zitella e del vitellino lattante”.
Forse ritorneremo sull’argomento, per dire dell’altro e far capire a chi non volesse o non potesse che la donna è quanto di più bello si sia potuto creare!
Ma… è tempo di lasciare la penna.
Giuseppe Abbruzzo