1860 – A proposito di statue

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La piaggeria non ha limiti! Chi vuole ingraziarsi il “potente” di turno, infatti arriva a dei paradossi, che rasentano il ridicolo.

Nel ricercare fra appunti che, tempo fa, mi avevano colpito, ho rintracciato qualcosa che illustra e compendia quanto affermato.

A proposito di statue e di quanto affermato c’è una chicca, che vale la pena rendere nota.

La visita di Vittorio Emanuele II a Napoli era attesissima, nel 1860, una volta annesso il regno delle Due Sicilie al resto dell’Italia. I nuovi amministratori della Città si preoccupavano per l’accoglienza. Si cercava di osannare in ogni modo e sotto ogni forma il nuovo re che ,come promesso, avrebbe dato ogni bene al popolo meridionale.

Si poneva, però, un problema ai bipedi a schiena ritta, che preparavano l’accoglienza al baffuto re. La cosa non poteva essere ignorata dai giornali progressisti dell’epoca.

Un giornalista, nell’ottobre 1860, scrive su un quotidiano, che si pubblicava in Napoli-Milano, qualcosa di interessante, che serve, anche, a far comprendere come andavano le cose, a riguardo, nell’anno suddetto.

Trascriviamo pedissequamente:

“                                                       LE STATUE REALI

Il Municipio di Napoli, non sapendo in qual modo celare alla vista di Vittorio Emanuele, le due statue Borboniche che stanno nel largo di S. Francesco di Paola (ndr oggi Piazza Plebiscito), pensò di farle ricoprire con baracche di tavola, che saranno, facilmente a lor volta ricoperte di stracci più o meno damascati. L’idea uscita dalla mente dei signori del Municipio, non raggiunge certamente la felicità artistica del pensiero espresso, riguardo a quelle statue, dal P. Gavazzi, il quale aveva progettata la loro decapitazione, e la sostituzione a quelli stessi busti delle teste di Vittorio Emanuele e di Garibaldi”.

Sembra incredibile quanto si riporta! Eppure si sarebbero dovute distruggere opere d’arte, manomettendole come suddetto.

Cosa non si farebbe dai “sudditi” privi di spina dorsale!

Il giornalista, giustamente, perciò, considera: “È un fatto che il criterio artistico, e il senso comune non sono di tutti”.

“Ma per tornare al Municipio – continua -, noi lo preghiamo di considerare, che quelle due statue sono una pagina di storia, che la storia non si cancella, che se in Francia i diversi governi che si sono succeduti, avessero voluto distruggere tutti gli oggetti d’arte che ricordavano signorie cadute, avrebbero gettato a terra mezzo Parigi. La colonna della piazza Vendome da una parte, la statua di Enrico IV sul Ponte nuovo dall’altra, quella di Napoleone agli invalidi, quella di Luigi XIV in piazza Vittoria. A tuttocciò aggiungiamo che oltre ad essere una pagina storica, è pure una lezione storica.

Bastava, ad esempio dei posteri, apporre sul piedestallo una leggenda che svelasse le loro fortune, e in poche parole racchiudesse i casi della loro rovina”.

La dicitura proposta dall’arguto e sarcastico giornalista (ne testo scritta in neretto) è la seguente:

Era una famiglia di tiranni

ed è caduta.

 Il giornalista considera, poi: “Queste parole tornerebbero d’insegnamento alle generazioni venture; le barracche, le decapitazioni sono o ibridismi, o patemi fanciulleschi; e dippiù n’è deturpata la Piazza. Che il Re vegga le statua: a lui, uscito grande per virtù, e per devozione alla causa della patria, non increscerà di riguardare caduti coloro che ànno calpestata la nazione e disconosciuta la virtù”.

Non vogliamo con ciò entrare nella polemica sulle statue al giorno d’oggi, ribadiamo quanto scritto in apertura, abbiamo voluto solo riportare il clima che si viveva in quei primi mesi posteriori alla Spedizione dei Mille.

La piaggeria, come riporta il quotidiano liberale, rasenta il ridicolo.

Prevalse il buonsenso.

Ognuno giudichi!

Giuseppe Abbruzzo

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