Il Casale di Sancto Jorio, di Domenico Antonio Cassiano
Per poter entrare nel merito delle varie situazioni analizzate nel libro “Il casale di Sancto Jorio (1104 – 1811) di Domenico Antonio Cassiano, Jonja, editrice, 2022, collana diretta da Giovambattista Trebisacce e Mauro Nicastri (Storia Istituzioni e società), non si può prescindere da una preliminare cognizione storica degli avvenimenti succeduti nell’ Italia meridionale e nell’impero bizantino in un arco temporale molto esteso.
Il nome “Sancto Jorio”, antica denominazione di San Giorgio Albanese e l’autore Domenico Casssano ne parla già nel primo capitolo – si ritrova, per la prima volta, in un diploma del 1104 del re normanno Ruggero che indicava anche i privilegi e i possessi concessi alla Badia greca del Patire. E, poi, in un regesto del papa Innocenzo III (1161 – 1216), che riconosceva al monastero protezione e donazioni. Si tratta di un vastissimo compendio immobiliare, compreso tra Rossano, Corigliano e la pianura di Sibari, ubicato in tre zone: Sancto Mauro, Cefalino e Sancto Jorio.
“Quest’ultimo – precisa il prof. Cassiano nel magistrale testo – aveva origini più antiche, legate ai monaci greci disseminati nelle montagne della pre-Sila, negli attuali Comuni di San Demetrio – Acri – Corigliano – Rossano, formatosi come spontaneo insediamento di gruppi di famiglie contadine, addette alla coltivazione delle terre nei tanti cenobi di monaci greci, considerata la presenza in queste zone di eremiti e monaci greci, provenienti dalla Sicilia dalla Puglia (Otranto), dalla Basilicata (Mercuriun) per sfuggire ai musulmani, dopo aver lasciato in quelle zone eremi, cappelle e cenobi, ovvero i segni del processo di bizantinizzazione”.
Cenobi antichi, come quello della chiesetta greca di San Vito, eretta nell’agro di Sancto Jorio, vicino il castello di San Mauro, sulla direttrice di altri cenobi, disseminati in punti strategici tra gli attuali territori di Acri, San Giorgio, Vaccarizzo, San Cosmo, San Demetrio (Sant’Adriano), dove esistevano eremi, romitori, cenobi, divennero vere e proprie aziende agricole che riuscirono a sopravvivere fino al XV secolo.
E ancora nel testo l’autore con dovizie di particolari, fornendoci anche notizie utili legate a San Nilo, ci informa che a Rossano prevaleva la grande aristocrazia terriera, composta da poche famiglie e le cariche pubbliche erano appannaggio esclusivo della grande aristocrazia terriera, dei grandi proprietari, degli ecclesiastici e degli alti funzionari imperiali, greci o anche locali. Fra gli aristocratici, lo studioso cita la famiglia Maleinos di Rossano, appartenente al ceto degli Arconte, che restò potente anche in epoca normanna. I possedimenti fondiari dei Maleinos e Nilo di Rossano si ritiene fosse di questa famiglia, dovevano essere molto vasti, considerato che, dopo il crollo dell’impero bizantino, non subirono danno o diminuzione alcuna.
“Il Bios su San Nilo – afferma il prof. Domenico Cassiano – attesta la vastità del patrimonio fondiario di questa famiglia, tant’è vero che a distanza di 35 chilometri da Rossano, possedeva un fondo dov’era edificato un tempietto, dedicato ai santi Adriano e Natalia, ovvero nell’ attuale territorio del Comune di San Demetrio Corone. Ed è proprio qui che Nilo di Rossano, abbandonando l’eparchia monastica del Mercurion per sfuggire alle scorrerie saracene, con i suoi tre discepoli Stefano, Giorgio e Proclo, si trasferì”.
Con l’erezione dell’Abbazia patiriense (1102) ed in seguito alle consistenti donazioni immobili in suo favore, il casale di Sancto Jorio entrò a far parte del corpus badiale, che comprendeva un consistente complesso territoriale.
Il casale di Sancto Jorio, comunque, ha avuto una storia travagliata, si è trovato per secoli al centro delle vicende storiche del Mezzogiorno, dai Bizantini ai Normanni, Aragonesi e Angioini; possedimento dell’Abbazia del Patire e degli Abati Commendatari, costante pretesa di poteri feudali, i Sanseverino primo e i Salluzzi dopo, che contestavano la giurisdizione esclusiva del Patire.
“L’oggetto della contesa, specie tra il 500 e il 600 – afferma il prof. Cassiano – furono i confini del Patire, entro il cui ambito si trovava San Giorgio, perché veniva considerato nella giusta dimensione di territorio badiale e territorio in parte feudale (Platea di Sebastiano Della Valle del 1544)”.
“Sancto Jorio” riprese a rifiorire nel XV secolo grazie all’arrivo provvidenziale delle famiglie di contadini di origini albanesi. Questi profughi albanesi alimentarono non solo l’ economia del borgo, ma anche la grecità del luogo. Fra l’altro, il territorio di S. Giorgio, con la fatica dei suoi abitanti da incolto, boscoso e paludoso trasformato con uliveti, vigne, gelsi, orti, pascoli costituiva una rendita importante per la casse badiali e veniva definito dalla badia del Patire insigne e nobile …
In forza all’ordinamento amministrativo, istituito dal governo del decennio francese con la legge del 19 gennaio 1807, San Giorgio divenne Università del Governo di Bisignano. Con decreto del 4 maggio 1811, invece, dopo il riordino amministrativo, divenne Comune e fu ricompreso nel Circondario di Corigliano.
Nei capitoli successivi, l’autore si sofferma sulla vita reale delle popolazioni arberische, discostandosi in alcuni casi, per esempio, dalle storie inventate relative ai pregiudizi sociali e alle miserevoli glorie di queste popolazione, soffermandosi sulle storielle dei cosiddetti nobili Coronei. Anche per l’autore del testo ad alimentarle furono gli intellettuali, che erano riusciti in modo diverso ad elevarsi economicamente. “Con i loro scritti, crearono e alimentarono caratteristiche da leggende, senza nessun fondamento storico, secondo cui le famiglie calabro – albanesi benestanti, distribuiti nei vari paesi erano gli eredi ed i continuatori dei gruppi dirigenti, che avevano lottato contro i musulmani, nel tentativo di ottenere pennacchi e falsi diplomi ed altra documentazione farlocca”.
E cita il caso dei Reres, il cui capo famiglia, Demetrio avrebbe militarmente aiutato Alfonso d’Aragona, il quale avrebbe ricompensato i figli dello stesso Giorgio e Basilio, conferendo loro il governo della Calabria e poi della Sicilia.
“Solo recenti ricerche storiche – scrive il prof. Cassiano- hanno chiarito definitivamente l’insussistenza assoluta dei fatti, attribuiti ai Reres e figli e la falsità del preteso privilegio regio che sarebbe stato riconosciuto a Demetrio Reres”.
Anche destituita qualsiasi fondamento la storica tesi, secondo la quale i cognomi di alcune famiglie albanofone che in Albania, venivano riconosciute come classe dirigente. E poi – trattando altri argomenti sociali – afferma che “non vi è traccia dei tanto conclamati vestiti femminili, ricamati d’oro, che una tradizione inventata di sana pianta ancora continua a celebrare”.Oggetto di discussione anche qualche pubblicazione sulla particolarità della celebrazione del matrimonio, dove si lascia intendere intuire lo stato di subalternità della donna, considerata come oggetto di preda.
Interessante, inoltre, e senz’altro da approfondire, la conflittualità di natura religiosa che traspare nel testo fra rito greco e rito latino, fra la Badia del Patire, l’ Ordinario latino di Rossano, la chiesa di San Giorgio. Fra i vari protagonisti: Giulio Variboba, il Sindaco Basilio Chinigò, il parroco Giulio Argondizza, don Domenico Lopez, parroco greco di San Giorgio, il sacerdote latino Angelo Masci, Monignor Cardamone(arcivescovo di Rossano), Filalete, Mons. Bugliari, Michele Bellusci. Situazioni queste che emergono – precisa l’autore dalle carte dello storico Francesco Capalbo.
Domenico A.Cassiano, avvocato, già docente di storia e filosofia nei licei classici, ha approfondito la storia religiosa, politica e civile della Calabria arberisca, inquadrandola nel più ampio contesto della storia nazionale; questione poco nota , ma sicuramente di un qualche interesse per la conoscenza di un particolare aspetto della storia calabrese e meridionale. È autore di numerosi saggi.
La presentazione del volume del prof. avv. Domenico A. Cassiano: “Il Casale di Sancto Iorio (1104-1811), Jonia Edizioni, è in programma sabato 1° luglio presso il Centro d’Iniziativa Culturale “Girolamo De Rada a San Demetrio Corone, su iniziativa della FAA (Federazione Associazioni Arbëreshe) e la collaborazione della locale Amministrazione comunale di Acri.
Gennaro De Cicco