1860 – Così si vedevano gli italiani

Il lume a gas, giornale napoletano, sul n. del 26 luglio 1860, riporta l’articolo  L’Italia e gl’italiani.

 “Degl’Italiani (…) ve ne sono di molte condizioni – si legge -. Non perché sentite dire, questo è un vero Italiano, dovete credere che ciò voglia significare parlare la lingua del e quindi tutti essere del bel paese che Appennin parte e il mar circonda e l’Alpi. I veri Italiani sono scoperta posteriore alla scoperta del giuseppismo, del vittorismo, e del camillismo, e si sono introdotti dove dodici o undici anni prima, dove dodici o undici anni dopo. Noi siamo sempre degli ultimi nelle invenzioni e scoperte; ma una volta che ci siamo avviati, e che abbiamo preso ad imitare, vogliamo superare gli stessi inventori”. Vi si precisa che tutti si dichiaravano “veri Italiani”.

“Ma la differenza di cui noi parliamo – si precisa – quelle tali gradazioni degl’Italiani stanno nelle epoche del loro battesimo. Vi sono i veri Italiani di ieri, quelli d’oggi e quelli del domani. La condizione degl’Italiani del domani e la più comoda. Sono di quelli che amano meglio la gallina domani che l’uovo oggi. Essi trovano il cocco mondato e buono, e non pertanto avranno il dritto di petizione di chiedere il pane quotidiano per essi, e dimostrarsi come veri e incontrastabili Italiani. Gl’Italiani di ieri sono quelli che hanno gustato le dolcezze dell’esilio, i vantaggi del carcere, le fraterne concessioni delle persecuzioni e delle destituzioni. Gl’Italiani di ieri parlano poco e fanno fatti. Non affacciano pretensioni e non domandano. Aspettano che l’Italia si faccia, e lavorano ad hoc. Finalmente gl’Italiani d’oggi sono quelli che raccolgono l’eredità dagl’Italiani di ieri, e che preparano poche bricciole di pane per gl’Italiani di domani. Essi si credono i veri Italiani hanno in mano lo stivale. Guardano in cagnesco i veri Italiani di ieri fingendo di amarli e di abbracciarli, e si affaticano a gridare per tutto mondo e in altri siti, che i veri Italiani sono dessi, perché han salvato l’Italia.

Chi veramente farà l’Italia degl’Italiani? Quelli di ieri, quelli d’oggi, o quelli di domani? Aspetteremo e vedremo. Ma i più che assicurano e gridano di volersi distinguere sono però gl’Italiani di domani… purché il tempo sarà buono, e non vi sia timore di tropea”.

È proprio vero: – Non è cambiato nulla! -. Ancora oggi abbiamo gli Italiani di ieri, di oggi e di domani e il popolo… ne è cavia e vittima. Possibile che a tanti anni di distanza non sia cambiato nulla, mentre il popolo spera e, come dice il popolo calabrese, disperato muore?

I tuoni, altro giornale napoletano nel 1860, tuonava non poco.

Ai fianchi della testata si legge: “Quante cadute / si son vedute! / Chi perse il credito, / chi perse il fiato, / chi la collottola / e chi lo stato! = Ma capofitti / cascaron gli asini! / Noi valentuomini / siam sempre ritti, / godendo i frutti / del mal di tutti!”.

Sul n. del 29 settembre 1860, sotto il titolo: Lampi e tuoni si legge delle assunzioni di parenti, tanto care, ancora, ai giorni nostri. Salvo che, oggi, il colto in fallo nega giurando e spergiurando di essere all’oscuro di tutto. Si dice, però, tra il popolo, che S. Nicola abbia recitato: – Prima le mura di dentro e poi quelle di fuori -, volendo con ciò giustificare il nepotismo e l’arraffare per assicurare vita agiata a sé e ai familiari. S. Nicola, ovviamente, non pronunciò mai quelle parole. Ma ognuno giustifica come può e come sa le proprie malefatte. Sciocco è chi gli crede.

Veniamo all’articolo: “Signori è caduto (…) è stata accettata la dimissione di Romano, Pisanelli, d’Afflitto, Scialoja e Ciccone.

Ed un nuovo Ministero è salito, per fare occupare dai propri amici e parenti gl’impieghi rimasti vacanti.

Di una cosa sola siamo meravigliati, ed è la seguente – Perché, dei censessanta, solo Ciccone si è dimesso, ed i Signori de Cesare e Giacchi non ci hanno peranche pensato, mentre essi, come il Signor Romano, appartenevano al Ministero di Bombino (ndr Francesco II di Borbone)?…

È inutile: non tutti hanno l’abnegazione di rifiutare centosessanta ducati al mese, più il piacere di non far rimanere scontento nessuno dei parenti ed amici, e di potere infeudar tutta in un ministero la propria razza, salvo la venuta di un nuovo dispensator d’impieghi, che la spazza interamente in beneficio dei propri cugini e nipoti”. Ci fermiamo qui.

È proprio vero: gli Italiani non bisognava farli. All’indomani dell’Unità erano belli e fatti! 

Giuseppe Abbruzzo

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