La festa della Repubblica

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Il 2 giugno si celebra la festa della Repubblica.

Le celebrazioni dovrebbero rappresentare il momento in cui più netta e nitida si dimostra la consapevolezza, come uomini e cittadini, del grande valore di civiltà giuridica rappresentato dalla nostra Costituzione.

Tra tutti gli articoli della Carta costituzionale, ve ne è uno che esprime questa autentica rivoluzione di civiltà giuridica, l’art. 3, che sancisce ed “impone” il principio di eguaglianza.

L’intera storia politica, sociale ed economica dell’Occidente, è stata pervasa da questo principio, in contrapposizione all’opposto principio di gerarchia a cui si sono ispirati altre dottrine e prassi politiche, in una dimensione ideale o, a volte, come male di esorcizzare: Norberto Bobbio, in Eguaglianza e libertà, giustamente rilevava come «il fantasma dell’eguaglianza […] ha sempre rotto i sogni dei potenti».

Il principio, presente in forme, ovviamente incomplete, già nel pensiero greco e nell’antica Atene, ha trovato una sua nuova, e non genuina, dimensione nelle Rivoluzioni americana e francese del XVIII secolo, in cui comunque coesisteva con residui di schiavismo e di distinzione di classe, fenomeno questo frutto dell’accoppiata tra libertà e proprietà, manifestazione del pensiero del liberalismo moderno incarnato da John Locke.

Ma è proprio da questa originaria coesistenza, rivelazione di un’eguaglianza formale, superata nel tempo, che il principio, come altri d’altronde, ha dimostrato la sua innata forza espansiva e generativa autonoma, andando a conformare regole e prassi, costituzionali ed ordinarie, espressioni di un’effettiva e sostanziale eguaglianza, estrinsecazione di diritti fondamentali.

I principi, e la storia costituzionale moderna lo dimostra, ampliano motu proprio la loro sfera di influenza, si distaccano da coloro i quali li avevano teorizzati e dai sistemi politici che originariamente li avevano sostenuti.

Questo fenomeno espansivo ha connotato anche la nostra storia costituzionale.

In Italia, alla riaffermazione della democrazia e della libertà, dopo la catastrofe della Seconda Guerra Mondiale, l’orrore della Shoah e l’oppressione della dittatura fascista, si accompagnò anche l’acquisita consapevolezza che la sola e semplice affermazione dell’eguaglianza di fronte alla legge, fosse insufficiente a rendere cogente il diritto all’eguaglianza.

Forti discriminazioni, ingiustizie e squilibri sociali, rimanevano in vita.

Per rendere effettivo quel principio bisognava aggiungere qualcosa in più che legasse indissolubilmente l’aspetto formale dell’eguaglianza a quello sostanziale: la dignità.

L’art. 3 della Costituzione italiana, nel suo primo comma, sancisce non solo che i cittadini sono eguali davanti alla legge, che anche gli stessi hanno pari dignità sociale.

Una rivoluzione copernicana.

Per la prima volta nella storia del diritto, una norma giuridica, posta per di più nella Costituzione, smaschera la finzione dell’astratto eguagliamento dei cittadini ed impone alla Repubblica, nell’art. 3, comma 2, della Carta, la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che «limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese

La Costituzione, si badi bene, non impone alla legge di rimuovere gli ostacoli, ma alla Repubblica, ciò a quell’insieme delle istituzioni democratiche, dal Parlamento, al Governo, dagli organi periferici ai giudici, a tutte le forze politiche, che ne fanno parte, insieme chiamati ad attuare un programma di azione in vista della completa concretizzazione del principio di eguaglianza.

L’eguaglianza, non è una petizione di principio, ma è una meta che, in un moto continuo di cambiamento, si conquista giorno per giorno, con lotte politiche, innovazioni legislative e integrazioni giurisprudenziali, di cui non si vede, né si può vedere, la fine.

Angelo Montalto

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