Il credo di Gingillino e la traduzione de “La Pagnotta”
Giuseppe Giusti è poeta satirico, ma nelle scuole si studiava, una volta, solo Sant’Ambrogio. Il resto? Faceva male al re e ai suoi seguaci, perciò era bandito dalle aule. Fra le sue poesie vi si rinviene un tal Gingillino: il personaggio del perfetto burocrate creato a uso e consumo della classe dominante. La composizione apre:
Sandro, i nostri Padroni hanno per uso
di sceglier sempre tra i servi umilissimi
quanto di porco, d’infimo e d’ottuso
pullula negli Stati felicissimi…
Il credo di Gingillino, è recitato seralmente:
– Io credo nella Zecca onnipotente
e nel figliuolo suo detto Zecchino,
nella Cambiale, nel Conto corrente,
e nel Soldo uno e trino:
credo nel Motuproprio e nel Rescritto,
e nella Dinastia che mi tien ritto.
Credo nel Dazio e nell’Imposizione,
credo nella Gabella e nel Catasto;
nella docilità del mio groppone,
nella greppia e nel basto:
e con tanto di core attacco il voto
sempre al santo del giorno che riscuoto.
Una rivisitazione del riportato credo è contenuta ne La Pagnotta, giornale napoletano dell’Ottocento, del quale abbiamo dato notizia altra volta, dal titolo Il credo di Gingillino:
Credo nella Pagnotta onnipotente,
e nel figliuolo suo detto Torino –
nel bilancio, nel prestito corrente.
E nel regno uno e trino –
Credo di Villafranca nel rescritto
e credo all’Unità, che mi tien ritto!
Credo pur nella tassa del registro,
nel decimo di pace e in quel di guerra –
mi formo un nume di ciascun ministro,
mi pare un Dio in terra –
di Rattazzi e Ricasoli son schiavo,
e quando si fucila io dico bravo!
Spero così d’aver sempre bottega
fino che andremo a Roma, – ed a Venezia –
e se un dì se ne va cotesta bega
mi sembrerà un’inezia;
ché virando di bordo e con giudizio,
devoto ognor sarò a S. Pagnottizio.
Diciamo di tempi passati, perché la storia vera, quella dalla quale veniamo è questa. Ognuno, poi, se vorrà potrà riflettere sul presente, perché noi non mettiamo lingua.
Giuseppe Abbruzzo