Rarefatti ricordi d’infanzia: le prime comunioni degli anni Settanta, tra “peccati” e improbabili tentativi di “redenzione”
In tempi recenti, riaffiorano alla nostra mente sfocate reminiscenze d’infanzia con alcune tappe tipiche del periodo, inevitabilmente differenti nella dinamica ed evoluzione per il mezzo secolo che ci separa dagli eventi. Il riferimento specifico è alla prima comunione, un appuntamento importante e che contribuiva a scandire un passaggio non secondario nell’approcciarsi all’età evolutiva. Il parroco della parrocchia della SS Annunziata, ai tempi, era Don Italo, l’unico che ricondiamo con la tonsura (cosiddetta “chirica”). Don Italo era un sacerdote tradizionalista, per cui la prima comunione presupponeva una preparazione non approfondita come oggi ma che richiedeva la trasmissione di alcuni “rudimenti” che sancissero le caratteristiche essenziali di un buon cristiano. Il primo approccio al confessionale incuteva un minimo di timore: inginocchiati, con di fronte una scherma metallico punterellato, che ci separava da colui che ci avrebbe ascoltato e, forse, assolti. Ci si approcciava confessando i peccati. Quali peccati si possano confessare a 10 anni o giù di lì, non saprei dire. Certo il parroco ci instradava: piccole bugie, disobbedienza ai genitori, comportamenti scorretti con compagni, etc. Per gli “atti impuri” bisognava attendere qualche anno. A quel punto, verso i 13 – 14 atti, la confessione diveniva più impegnativa. Gli atti impuri venivano sanzionati con diverse Ave Maria non solo perché peccato ma anche nocivi per la salute, soprattutto la vista. Bisognerà attendere alcuni anni per scoprire che si trattava di una leggenda priva di alcun fondamento “scientifico”. In ogni caso, per un po’ la tentazione veniva allontanata per poi ricascarci ed essere nuovamente rimproverati, fino a quando, verso i 16 anni, specie con lo studio della filosofia del secondo liceo, il rapporto con la fede entrò in crisi e con esso la pratica delle confessione, con immancabili prediche sia a casa che fuori. Negli anni siamo passati da una fede fervente e senza tentennamenti a nessuna fede e, in tempi più recenti, al “dubbio positivo” ossia, alla speranza che ci sia qualcosa per dare maggior senso a tutto, piuttosto che a una salda certezza. In ogni caso dall’adolescenza avanzata, gli atti impuri – e più avanti dell’altro – non venivano, finalmente, più sanzionati e soprattutto non erano più oggetto di confessione. Nel frattempo le cose cambiarono anche in parrocchia con l’arrivo di un nuovo parroco che, sfrondando di molto la tradizione con un approccio più immediato e fresco alla fede, avvicinò non poco i giovani alla parrocchia, che divenne fucina di incontri, cineforum, iniziative benefiche e tant’altro. I tempi non erano, però, ancora maturi per una religiosità moderna e non bigotta, per cui quell’esperienza terminò nel 1981, con l’inevitabile conseguenza di un allontanamento corposo di giovani e vecchi dalla parrocchia. Solo la bontà e l’enorme umanità di Don Luigi Basile, che fu chiamato al non facile compito di sostituire il giovane e “irrequieto” Peppe Cristofaro, riuscirà dopo poco a riconquistare tutti per la sua straordinaria umanità e l’assenza di qualsivoglia forma di bigottismo. I nostri ricordi parrocchiali si fermano al 2015, non avendo avuto altre occasioni di incontro e conoscenza con chi è seguito. Di certo, i tempi nuovi, gli eventi occorsi in questo mezzo secolo sono stati tali da rendere il rapporto tra parroco e parrocchiani adeguato ai tempi e alla nuova visione del mondo. Ci è sembrato, però, utile condividere con i lettori alcune nostre esperienze di “fede”, che riteniamo, peraltro, comuni a tanti nostri coetanei.
Massimo Conocchia