La cicoria selvatica e alcuni usi

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A primavera spunta un’erba ricercata, un tempo, dalle nostre nonne e ai giorni nostri acquistata dai buongustai, per essere preparata in minestra di verdura: la cicoria selvatica.

Un tempo s’insaporiva con la carne di maiale salata e pepata. Questa per essere riposta in vasi di terracotta smaltati si diceva ‘ncataràtu, perché quel recipiente era il cantarus dei latini, ossia il vaso. Ora, quella carne, un tempo presente in tutte le case delle famiglie, che potevano permettersi di allevare e lavorare le carni del maiale, è introvabile.

Dopo i rigidi inverni di un tempo, va evidenziato, a primavera si recitava: È jurut’ ‘a frasca: ‘un avimu cchiù paura!, detto che sottintendeva tutto un lungo discorso. Sintetizzando, si faceva capire che, col comparire, nei prati, delle erbe mangerecce, non c’era più paura di morire d’inedia come, purtroppo, accadeva a chi non poteva permettersi il lusso delle grandi provviste per svernare.

La cicoria, anche se dal sapore amaro, si preparava a minestra e ad insalata.

Noi, che razzoliamo “tra le ceneri del passato” abbiamo trovato un testo del 1700 che ne tratta e ci dà notizie, che oggi appaiono curiose e servono, fra l’altro, a farci capire cosa fosse la “cicoria” del tempo dell’autarchia fascista.

Ecco come e perché la cicoria da “selvatica” divenne “coltivata”: “Ma per essere la cicoria selvatica dura e amarissima è stato introdotto di renderla colla coltivazione tenera, bianca e meno amara, e se ne mangiano con diletto le foglie sì crude specialmente in insalata colla salsa di alice, che cotte, come pure le radici, più per insalata”.

Nell’epoca dell’autarchia del periodo fascista si diceva d’aver bevuta la cicoria! Il riferimento era ad un sostituto del caffè, una specie di tisana. Nel testo consultato si spiga come ottenere la bevanda: “V’è stato chi ha preso delle radici di cicoria selvatica, pulite e spaccate in 4 parti per la loro lunghezza, le ha poste sopra un foglio di carta sotto una padella per tre giorni a farvele seccare. Fatta questa operazione ha tagliate queste radici in piccoli pezzi della grossezza d’un vago di caffè, le ha macinate e preparatene una bevanda simile a quella del caffè, fattile dare 2 o 3 bolli e chiarirla.

Tale liquore caffeiforme ha lo stesso colore, e si dice lo stesso sapore tanto in polvere, che in liquido”. Precisava, inoltre, l’autore dell’annotazione, che ripetiamo è del 1700: “ma ci vuol meno di zucchero”.

Da bambino, in quegli anni, sentivo adulti, che dicevano d’aver bevuto la cicoria. Non capivo come avessero potuto bere quell’erba amara, che mangiavamo. Né capivo perché quella bevanda la chiamassero col nome dell’erba selvatica. Successivamente pensai ad una “invenzione” moderna, ma il testo citato dà le notizie relative a quelle domande e fa datare quell’uso.

A completamento diciamo che della cicoria selvatica se ne faceva, anche, uso medicinale.

Giuseppe Abbruzzo

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