I maccheroni!
Luigi Conforti, in un articolo, apparso su un giornale napoletano, nel 1907, disquisisce su “L’origine del maccheroni e la patria di Pulcinella”. Meriterebbe di esser letto, per le argomentazioni, condivisibili o meno che vi si riportano.
Questi consiglia di sfogliare il vocabolario sotto la parola macca: “trova che significa massa pastosa da tagliare e ammassare con sciabola di legno piatta”. Fa riferimento ai “graffiti di Pompei” dove si vede che “era la pasta fatta di farina di grano, distesa sottilmente in falde e cotta nell’acqua”.
Il Conforti riporta la tradizione popolare: “Lessi che sotto la dominazione d’un nostro antico re di Napoli, secondo la tradizione popolare, una cuoca avendo chiesto la grazia per il marito, condannato a morte, e non potendola ottenere, pensò di chiedere la vita di lui a prezzo d’un piatto eccellente di sua fattura. Si vuole che forasse la pasta per farvi entrare un sugo squisitissimo. Parve così gustosa, che il marito della cuoca fu salvo e, prima di morire, avendo confidato a una comare il segreto, tutto il popolo venne a convincersi in eterno della sublimità della vivanda, così da farne uso perenne, ora divenuto mondiale”.
Il popolo, dotato di grande fantasia imbastisce favole bellissime su tutto.
Va precisato che si dicevano maccheroni tutti i tipi di pasta fatta in casa. La làgana, alla quale fa riferimento il giornalista più sopra, visibile nei “grafiti” pompeiani; e i fusilli e ogni tipo di pasta ora in uso, quella pasta bucata inventata dalla moglie del condannato a morte. Non sfugga la precisazione: attraverso il buco doveva passarvi il sugo, in caso contrario di maccheroni si aveva solo il nome. E, ricordiamo che “maccarùni senza grupu” son detti gli sciocchi.
Conforti precisa: “Ignoro se i Pompeiani pur non avendo saputo trovare il modo di bucare la pasta a macchina, uso iniziato nel 1600 con macchina di legno detta Ingegno”.
A proposito di questo Ingegno apprendiamo che prima “la farina veniva impastata coi piedi”, cosa che fu sostituita da “L’uomo di bronzo nel 1833”. In una pubblicità, apparsa su un giornale del suddetto anno, si legge a riguardo: “Novello e grande stabilimento di pasta coll’Uomo di bronzo per togliere l’uso abominevole d’impastare coi piedi. Costruito da Cesare Spadaccino, nella sua proprietà strada Campo di Marte in Napoli”.
Si chiederà: – Cos’era il sugo squisito?- Cosa poteva essere se non il ragù, che da noi dev’essere rigorosamente di carne di capra, per preparare il piatto tipico? La preparazione richiedeva non solo ottimi ingredienti, ma lunga cottura a fuocu manzu (fuoco lento) tanto da farlo pippiàri, ossia bollire facendo bollicine che si aprono, lasciando uscire il vapore accumulato.
Le nostre brave cuoche, che presentano le ricette tipiche, infarcendole di termini ormai in disuso, come quelli surriportati, lo fanno suscitando, in chi ascolta, l’acquolina in bocca.
La curiosità riportata ha fatto venire voglia di assaporare questo buon piatto tipico?
Allora: – Buon Appetito!-.
Giuseppe Abbruzzo