L’ignorato Risorgimento calabrese

“Il libro mio non lo dice”, diceva un professore, sconfessando, così, secondo lui chi sosteneva qualcosa di accaduta dalle nostre parti, ma ignorata dai tanti.

Noi, anche se quel libro non lo dice, ne scriviamo. Lo facciamo, anche, per il fatto che non si conosce nulla, dai più, di quanto avvenne nel corso di quel periodo denominato Risorgimento.

Sul finire del 1821, ricordiamo che l’anno precedente c’era stata una sommossa, che aveva interessato anche le nostre parti. Nel citato anno alcuni che, non a torto, furono definiti “imbroglioni”, denunciarono l’istituzione di una setta detta dei cavalieri tebani o cavalieri europei. Scopo della setta, si disse era quello di distruggere i regnanti e cancellare, per sempre le monarchie.

Un certo Giambattista de Gattis, definito, successivamente, “prepotente ed avido”, per vendicarsi contro degli abitanti di San Mango d’Aquino, per avere con loro avute alcune liti, denunciò che in Calabria vi era una congiura permanente, con le mire suddette.

All’epoca era intendente di Cosenza Francesco Nicola de Matteis, che da tanti si bollava come dispotico, altero, ambizioso. Questi colse la palla al balzo, cavalcando la detta denuncia, per procurarsi fama e far carriera. Si fece affidare, perciò, l’allestimento di un processo contro i cospiratori delle tre province calabresi.

Furono indicati e arrestati sette presunti rei e quaranta testimoni. Questi subirono “battiture, ceppi, collari di ferro inchiodati al muro, legature strette e congiunzioni di pollici delle mani con quelle dei piedi”, De Matteis ottenne così le prove desiderate. Consegnò diciassette rei ad una commissione militare.

Il 24 marzo 1823 tre furono condannati a morte e dieci ai ferri. Condanne eseguite!

Si gridò, allora, all’irregolarità e all’ingiustizia. A fine 1824 il re invitò la corte suprema a indagare e pronunciarsi.

Fu arrestato il de Matteis e i suoi complici. Si fece un lungo processo. Le accuse furono di falsità, nel processo che portò alla condanna a morte dei detti tre, abuso di autorità col fare tormentare i presunti rei e i testimoni. La Corte condannò, in fine, il 16 luglio 1830, alla pena di morte il de Matteis, il Gattis, suo cooperatore e tal Alessandro componente della commissione militare.

I giudici si divisero nel parere e condannarono l’Intendente a dieci anni di relegazione; e, per Alessandro e de Gattis “ulteriore istruzione”.

I liberali calabresi avrebbero gioito, si fece rilevare al re, che il 29 novembre 1830, per clemenza, decretò di condonare la pena dei dieci anni di relegazione al de Matteis e il non procedersi contro Alessandro e de Gattis.

Su questi fatti la “storia ufficiale” e, perciò, il libro-bibbia, tanto citato, non riporta nulla. Come mai? Forse, perché i calabresi dovevano essere accreditati solo come briganti e non martiri di una giustizia ingiusta.

Chi ha il compito, chiediamo, di far conoscere il Risorgimento in Calabria?

Anche qui vige il nenti sacciu, nenti vitti, nenti vogliu sapiri.

E così sia!

Giuseppe Abbruzzo

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