Il traffico dei migranti: un crimine contro la persona e l’umanità

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La tragedia di Steccato di Cutro, ha riaperto il dibattito sulle politiche migratorie nel Mediterraneo.

Sono anni, troppi, che si registrano dolorose sciagure in mare, in cui hanno perso la vita migliaia di migranti, tra i quali moltissimi bambini. 

Il fenomeno, purtroppo, sembra arenarsi su uno scontro di natura ideologica e di scelte di valori, laddove gli attori politici, nazionali ed internazionali, non tengono in debita considerazione i dati ufficiali e verificabili, dai quali affiora che si sta perpetrando un vero e proprio crimine contro la persona e l’umanità derivante dal traffico dei migranti. 

Questa cecità si traduce in una seria e deprecabile difficoltà adintraprendere azioni comuni per combattere una violazione così eclatante dei diritti umani.

Secondo il diritto internazionale, sussiste una differenza tra la tratta di essere umani (trafficking) ed il traffico di migranti (smuggling). 

Il due crimini, pur avendo caratteristiche comuni, si differenzianonella loro essenza perché, mentre il primo riguarda lo sfruttamento della persona ridotta in schiavitù, il secondo si concentra sui profitti acquisiti dai trafficanti che favoriscono l’entrata illegale di persone in uno Stato di cui non sono cittadini. Tradizionalmente la tratta è considerata un reato contro la persona, mentre il traffico di migranti sarebbe soprattutto un reato contro lo Stato.

È chiaro che una simile configurazione del fatto risulta assolutamente superata, non in linea con la reale dinamica e le concrete condizioni in cui si sviluppa il fenomeno criminale del traffico dei migranti.

Di fondo, patisce un vizio di giustizia sostanziale.  

Come possiamo non definire reato contro la persona, la sorte dei migranti ammassati su gommoni a rischio di naufragio, speronati ed affondati perché non volevano trasferirsi dalla nave madre a barchini di fortuna, rinchiusi nella stiva ed annegati per il capovolgimento del barcone, di quelli asfissiati nella sala macchine, di quelli ridotti in schiavitù per ripagare il prezzo della traversata?

Lo smuggling of migrants è, in alcuni Paesi, una tra le principali fonti di reddito della criminalità organizzata e spesso contribuisce a finanziare il terrorismo, un business che genera profitti elevati, condotto da organizzazioni senza scrupolo ben ramificate in tutto il territorio in cui si sviluppa, che vede gli scafisti solo l’ultimo anello della catena delittuosa. 

Come possiamo non qualificare le migliaia di morti dei migranti frutto di azioni criminali che suscitano generale riprovazione, perpetrate in danno dell’intera umanità?

Papa Francesco, in un Angelus del 2015, lanciava un durissimo monito: “le morti dei migranti sono crimini che offendono l’intera famiglia umana”.

Coscientemente e giuridicamente, per assicurare la corretta tutela alle persone vittime di questo orrendo crimine, bisogna inquadrare il fenomeno per quello che realmente è: un crimine contro la persona e l’umanità. 

Esiste, a livello internazionale, uno strumento giuridico adeguatoper combattere il fenomeno, rappresentato dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, adottata a Palermo nel 2000, un trattato multilaterale ratificato ad oggi da 188 Stati del mondo, insieme al Protocollo aggiuntivo contro il traffico di migranti.

In Italia, la magistratura si è avvalsa più volte della Convenzione,soprattutto nell’operazione Mare Nostrum, per perseguire i reaticonnessi al traffico dei migranti, ma nel complesso i casi effettivamente puniti, sia nel nostro Paese, nell’UE che nel Mondo, rimangono assolutamente bassi.

Il mancato adeguamento delle normative nazionali, una scarsa collaborazione tra le diverse autorità giudiziarie e di polizia, la difformità nella valutazione delle condotte criminali, ha prodotto scarsi risultati sul piano della lotta al fenomeno.

Grazie ad un’iniziativa dell’Italia qualche passo avanti,comunque, è stato fatto in seno all’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine, UNODC, laddove, con il metodo peer review, ci si pone l’obiettivo di verificare, criticamente, la concreta attuazione della Convenzione, per arrivare ad una più completa conoscenza dei problemi connessi al traffico dei migranti, ad una sempre maggiore uniformità, a livello internazionale, nell’applicazione della normativa della Convenzione stessa, ad una più efficace collaborazione a livello giudiziario tra le Nazioni che hanno ratificato il Trattato.

Ancora troppo poco però.

Per garantire un contrasto realmente valido ed efficace al traffico di migranti, bisogna ragionare con un approccio globale al fenomeno, coinvolgendo, in una logica di cooperazione internazionale, oltre che i singoli Stati e l’Unione Europea, anche e soprattutto le Nazioni Unite, sino ad oggi marginale nel suoruolo, dotandosi di strumenti normativi, di programmi e di strutture adeguate, in un chiaro e ben definito quadro di competenze ai diversi livelli istituzionali.

Il Protocollo migranti indica chiaramente gli scopi da perseguire e realizzare: prevenzione dei traffici, contrasto, programmi di assistenza e di formazione e protezione dei diritti dei migranti.

Ma la collaborazione deve spingersi oltre, coinvolgendo i Paesi di origine e transito dei migranti, offrendo loro reali condizioni per l’apertura dei mercati e nuove e sostanziali opportunità di sviluppo ed impiego delle proprie risorse materiali ed umane, superando l’alternativa, che sembra diventata oramai pura retorica, tra aiuti massicci o emigrazione di massa.

Colgo l’occasione per augurare a tutti Voi una serena Pasqua. 

Angelo Montalto 

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