“Il signore delle formiche”, spietato ritratto di un’Italia bigotta e ipocrita

Tarda serata di sabato davanti alla TV, appena finito di vedere un film bellissimo dal titolo “Il signore delle formiche”, di Gianni Amelio con Luigi Lo Cascio ed Elio Germano. Il film ricostruisce la vicenda amara di Aldo Braibanti, intellettuale e scrittore, che aveva un gran seguito di giovani e che aveva attivato in una ex fattoria del piacentino una scuola di recitazione. Tra i suoi allievi c’è Ettore, che conosce Braibanti tramite il fratello Riccardo (che sogna di essere apprezzato dal maestro ma riceve solo critiche). Ettore – che, al contrario di Riccardo, entra subito nelle grazie del prof per avergli portato un raro esemplare di formica che Braibanti colleziona in teca – si lega all’intellettuale, col quale nascerà un rapporto non solo culturale ma un sodalizio umano prima e una relazione omosessuale, poi. Ettore lascerà la provincia per seguire spontaneamente Braibanti a Roma per sfuggire all’oppressione di una famiglia piccolo borghese, bigotta. La stessa famiglia farà irruzione a Roma, rapendo di fatto Ettore per rinchiuderlo in un reparto psichiatrico, dove cercheranno di “correggerne” l’omosessualità con ripetuti elettroshock, che lo devasteranno nello spirito e nel fisico. Braibanti verrà arrestato e processato per plagio. L’Italietta ipocrita e bigotta del tempo, non potendolo processarlo per omosessualità – reato non previsto dal codice fascista (Rocco) semplicemente perché per Mussolini prevedere il reato sarebbe equivalso ad ammettere il problema, che il regime non poteva accettare – lo rinvierà a giudizio per il reato di plagio (sarà l’unica volta in cui verrà usato contro una persona e non contro un’opera). Dopo un processo farsa, Braibanti verrà condannato a nove anni di carcere, ridotti a 4 in appello e Cassazione. Verrà scarcerato dopo due anni per i suoi meriti di partigiano. La vicenda sollevò scalpore e proteste e rappresenta sicuramente uno spaccato dell’Italia del tempo, ultracattolica e bigotta, che pretendeva di “curare” l’omosessualità al pari di una malattia e perseguiva gli omosessuali con pseudo accuse (plagio) per nascondere l’ipocrisia di ciò che riteneva il vero reato (il diverso orientamento sessuale). Lo stesso P.C.I., a cui pure Braibanti era iscritto, lascerà solo l’uomo e si libererà del giornalista che aveva preso a cuore la vicenda, difendendo lo scrittore con i suoi articoli.  Sicuramente di acqua ne è passata sotto i ponti ma riteniamo che, ancora oggi, resistano retaggi e vestigia di quella “cultura” che ha di fatto massacrato due individui, rei di vivere liberamente la loro vita. Il film è una denuncia cruda e amara contro una società che non solo ripudia chi ha un diverso orientamento sessuale ma lo vede come un malato o un problema da condannare, senza avere nemmeno il coraggio di affrontare pubblicamente il tema. Braibanti sconterà la sua “pena” sotto l’ipocrita accusa di plagio.

La considerazione amara che si può trarre e che, ancora oggi, in Italia sia duro a morire un atteggiamento di condanna verso chi ha un diverso orientamento sessuale e che resista una frangia, non sappiamo quanto minoritaria, che vede gli omosessuali – e più in generale quelli che ritiene “diversi” – come un problema.

Massimo Conocchia

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