I Savoia sequestratori di giornali

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Com’è bugiarda la storia che s’insegna nelle scuole!

Ci hanno sempre detto che i Borbone sopprimevano i giornali che loro non garbavano. E questo è vero. Pensavamo, noi studenti che i Savoia facessero diversamente. L’abbiamo creduto per anni. Ligi, però, a quanto scriveva quel Grande, mai degnamente osannato, Giacomo Leopardi: “Credere una cosa perché si è udito dirla, e perché non si è avuta cura di esaminarla, fa torto all’intelletto dell’uomo”.

Forse questo dovrebbe essere impresso all’ingresso d’ogni scuola e nella sala dei professori d’ogni istituto!

Noi, curiosi per natura, abbiamo rintracciato più giornali postunitari, che lamentavano il sequestro continuato dei loro numeri. Come mai i professori delle nostre scuole non ce l’hanno mai detto? Perché? Volevano e dovevano nascondere qualcosa di brutto? O schiavi e non abituati a spaziare si limitavano a ripetere quanto si riportava sul libro di testo?

Lo dicevamo altra volta e l’abbiamo voluto ribadire con le autorevoli parole del Leopardi, non bisogna credere alla Storia per fede. Questo lo si fa per quanto è inspiegabile per la Religione, non per la Storia con la S maiuscola. Allora? Bisogna ricercare e portare prove.

Abbiamo rintracciato molte testate postunitarie che lamentavano sequestri continuati!

La verità nuda, come mamma l’ha fatta, fa male e chi la teme deve occultarla con ogni mezzo.

Il nuovo Regno d’Italia, che tanto aveva promesso, non era diverso dagli altri, anzi si dimostrò peggiore, dando, ad esempio, al Padula tutti i motivi per sferrare attacchi su Il Bruzio.

Vi è chi, a questo punto, griderà: – Prove!… Prove! -. Potremmo dire che ognuno le prove dovrebbe cercarle da solo. Quel gridare suddetto, però, è degli ignavi, che lanciano la sfida, perché ignorano e vogliono ignorare. Non ci interessa il perché.

Bene. L’esempio lo portiamo non con uno dei tantissimi giornali dei delusi del Meridione d’Italia, che denunciavano d’essere caduti dalla padella nella brace, ma di un giornale genovese: Il Dovere.

In prima pagina del sabato 5 marzo 1864 si legge, sotto il titolo Quattordicesimo sequestro: “E due di seguito!

Da quattro numeri del nostro giornale pubblicati nello scorso febbraio la Regia Procura ebbe la saggia precauzione di sequestrane nientemeno che TRE, e gli ultimi due consecutivamente!”.

Ancora: “La Regia Procura, cui poco garba l’esistenza del Dovere, maravigliata com’esso abbia risistito ai suoi teneri amplessi per lo spazio di un anno, e più meravigliata ancora delle sua tracotanza di voler vivere in avvenire, pensò che il miglior mezzo di finirla coll’ostinato giornale era quello di farlo credere, per mezzo di frequenti e consecutivi sequestri, morto e sepolto ai proprii associati”.

Potremmo continuare, ma la cosa appare chiara. I lettori attenti si saranno chiesto: – Ma cosa c’era di grave in quei numeri? – C’era una cosa gravissima: “l’articolo di Mazzini intitolato ‘Questione Veneta’”, pubblicato sul n. 48 del giornale in esame.

Mazzini non era il padre della Patria? Malgrado tutto, però, non gli si perdonava d’essere repubblicano ad oltranza; e gli pendeva sul capo una condanna a morte. Il “padre della patria” era costretto a vivere sotto falso nome e morì sotto falso nome in Italia!

Il parricidio è condannato, ma evidentemente c’era, come al solito, chi poteva fare “libito in sua legge”.

Non sfugga che il gerente responsabile del giornale finì in tribunale, per aver pubblicato un proclama di Garibaldi agli Italiani e il citato articolo del Mazzini. Evidentemente, in quel caso non erano Padri, ma Nemici della patria. Giudichi ognuno!

La Storia, quella vera, non è sui libri di testo, ma va costruita su documenti certi. Va accertata, sentendo le varie campane e non quella governativa, che ai nostri giorni dovrebbe essere sepolta, riguardo a quegli anni d’inganni.

Giuseppe Abbruzzo

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