L’imbroglio dell’autonomia differenziata e i rischi per il già precario sistema sanitario calabrese
L’autonomia differenziata – il cui testo è in via di approvazione alla Camera -, tanto cara alla Destra di governo, contiene alcuni elementi di allarme per chi, come noi, crede nel concetto di Nazione, nel principio di solidarietà e sussidiarietà. I rischi insiti nel progetto sono molteplici, proveremo ad esporre quelli più contingenti e immediati. Con l’autonomia, ci sarebbe un’ulteriore migrazione di professionisti, specie nel settore della sanità. I medici cercherebbero – ancor più di quanto già oggi avviene – di spostarsi dal Sud verso le regioni del Nord, che, in virtù dell’autonomia, avrebbero una maggiore attrattiva, sia sul piano delle remunerazioni che su quello delle maggiori opportunità di crescita, in virtù di strutture più organizzate e strutturate. Venuta meno la contrattazione nazionale, le Regioni, in virtù di una loro maggiore autonomia, potrebbero garantire maggiori remunerazioni, determinando così una notevole fuga di professionalità che andrebbe ulteriormente a impoverire regioni come la Calabria che già oggi hanno necessità di ricorrere a forze prese in prestito da altri Paesi. La mancanza di un’opposizione coesa potrebbe, nel presente, far passare con più facilità un progetto che riteniamo malsano e contrario ad alcuni principi e dettami costituzionali. Un discorso non dissimile lo si può fare per quanto riguarda la scuola. I docenti, infatti, passerebbero dalla dipendenze dirette dello Stato a quello delle Regioni, con immaginabili differenze non solo di natura economica ma anche di crescita e di carriera. In sintesi, si accentuerebbe ancora di più il concetto di un Paese diviso e con diverse velocità. L’immaginabile conseguenza, anche in questo settore, sarebbe la fuga dei più giovani con depauperamento delle energie necessarie per il futuro. Crediamo fermamente nel principio di una retribuzione differenziata, non solo nella scuola ma in tutti i comparti della P.A., basata però su criteri meritocratici e di produttività in termini di risultato, giammai su una differenza di trattamento su base geografica, che finirebbe per incrementare ulteriormente un divario già notevole. In sintesi, come da più parti sottolineato, si creeranno 21 Regioni a “statuto speciale” con notevoli e concreti rischi di ulteriore rallentamento in più settori. Ci siamo limitati a esporre i rischi più immediati in due capitoli fondamentali, la sanità e la scuola ma il discorso si potrebbe estendere al settore dei trasporti, della sicurezza, delle infrastrutture, etc. La gestione regionale della sanità ha mostrato tutte le sue pecche. Con l’autonomia si affiderebbe in maniera più esclusiva la gestione alle Regioni con immaginabili conseguenze. La Calabria presenta una sanità al collasso per carenza strutturale e di personale. Carenza resa più drammatica dall’assurda decisione della giunta Scopelliti di chiude 18 strutture ospedaliere in una regione già carente. Il sistema sopravvive solo grazie all’abnegazione e alla professionalità di chi è in prima linea, dai medici a tutto il personale sanitario, che è encomiabile e va riconosciuta. La premessa che sottendeva all’insana chiusura di tante strutture ospedaliere era che quell’atto doveva accompagnarsi a un potenziamento della medicina territoriale, mai concretizzatosi. Aggiungasi che delle strutture rimaste in essere alcune difettano di quei presidi essenziali che le rendano idonee a gestire le emergenze, in primis il servizio di emodinamica per garantire la rete dello STEMI – infarto acuto “a tutto spessore” (tecnicamente infarto con sopraslivellamento del tratto ST, la forma più grave), che necessita di riperfusione immediata, possibilmente entro i primi 90 minuti dall’esordio dei sintomi – e sale di rianimazione. Alcuni presidi, poi, presentano un numero di posti di rianimazione sulla carta ma concretamente i posti sono spesso ridotti per via della mancanza di personale. L’attuale presidente della Regione, più di 10 anni fa, esaltava il suo predecessore per il taglio delle strutture, taglio talmente sensato che tre di quelle 18 strutture sono in via di riapertura. Non tenere conto di un territorio particolare, di una viabilità disastrata e chiudere acriticamente delle strutture è un qualcosa di estremamente pericoloso e ne va della sicurezza dei calabresi. La media nazionale di posti di terapia intensiva è di 14 ogni 100.000 abitanti. In Calabria è di circa la metà, ossia 8 ogni 100.000 e di questi 8 alcuni sono solo sulla carta, come dicevamo. Con queste premesse, il governo si appresta ancora a potenziare la gestione regionale della sanità. In pratica ci si affida ulteriormente a un cattivo gestore, aumentandone poteri e competenze. Un altro parametro di quanto questa gestione sia stata fallimentare è il fatto che in Calabria i fondi perla sanità risultano in buona parte non utilizzati.
A livello nazionale, oltretutto, l’Italia, nonostante l’esperienza della pandemia abbia mostrato tutte le inadeguatezze del S.S.N. di fronte alle grandi emergenze, continua a spendere solo il 6% del PIL, una cifra risibile rispetto a quella di altri Paesi europei.
Facciamo qui punto, auspicando, sull’argomento, l’apertura di un dibattito in cui ciascuno possa dare il proprio contributo.
Massimo Conocchia
Caro Massimo,
in appoggio a quanto scrivi mi piace ricordare che qualche mese fa scrivevo che l’Ente Regione è diventato una palla di piombo, che spesso succhia enormi risorse senza realizzare nulla sui territori, perciò converrebbe eliminarle o almeno riunirle in poche, macro strutture diversamente collegate alla macchina centrale dello Stato. La Destra forcaiola di sempre oggi sta cercando in modo sotterraneo di azzerare l’assetto costituzionale dello Stato nato dalla Resistenza approfittando di una opposizione divisa in loby stupide e truffaldine, pronte a vendersi per una tessera in più o in meno!
Caro Massimo, il grido di dolore che tu lanci nello stagno è sacrosanto, ma poche sono le orecchie disposte ad ascoltare, e tuttavia credo valga la pena di far sentire sempre il proprio diniego, non fosse altro che per sentirsi vivo!
Egregio Professore, la ringrazio per le sue considerazioni. Quanto lei dice alla fine è vero è condivisibile. Purtroppo, non c’è sordo peggiore di chi non vuol sentire. L’amarezza più grossa è che oggi non esiste una posizione, e che la responsabilità di questo stato di degrado è purtroppo trasversale. Noi, da uomini liberi e non condizionabile, nell’esclusivo interesse dei cittadini, che sono quelli che in ultima analisi ci rimettono in termini di sicurezza, continueremo a far sentire il nostro grido di dolore. Se non altro perché resti ferma la nostra opposizione. Un Caro saluto.