Storie di ieri e… del 1300
Negli anni Cinquanta del secolo scorso, nel rincasare, finita la mia giornata di insegnante supplente, trovai varie donne, in una via nei pressi di casa mia. Gridavano: – ‘U vi’, ‘u vi’! (Lo vedi, lo vedi!). Chiesi cosa fosse successo.
Mi raccontarono che un giovane aveva avuto rapporti intimi con una ragazza. I familiari di quest’ultima costrinsero l’uomo alle nozze riparatrici. Tutto sembrava risolto, per salvare l’onore della ragazza e della famiglia, come si commentava. Andarono nella chiesa dell’ex convento dei Domenicani. Ormai è cosa fatta, pensarono tutti, ma non avevano fatto i conti con l’abilità del giovane che, scattante come una lepre, colse tutti di sorpresa e se la diede a gambe.
La natura dei luoghi era diversa da oggi, dopo quel convento vi era aperta campagna. Il fuggiasco corse verso Serra di Buda. In salita batteva tutti quelli, che arrancavano faticosamente nell’inseguimento. “Ormai non lo prendono più”, era il commento delle donne.
Il giovane, non sappiamo se si fosse precedentemente allenato, ma è certo che lo scatto e la corsa fu degna di un grande olimpionico.
Cosa successe della giovane e come finì la storia non ci è dato sapere. Sappiamo, però, che non vi è nulla di nuovo sotto il sole e, ricordando con alcuni la storia, in seguito alla visione di un film, che aveva tante analogie con l’episodio accennato mi è venuto in mente quanto riporta uno storico napoletano a proposito di Camiola Turinga.
Pietro d’Aragona, re di Sicilia, faceva sentire il suo spadroneggiare nell’Isola ridotta in pessime condizioni economiche. Roberto d’Angiò (1277-1343) re di Napoli, detto il Saggio, intervenne, chiedendone la cessione. Nominò capitano Goffredo Marzano, conte di Squillace, con l’incarico di navigare per la Sicilia. Pietro, per contro nominò capitano, Orlando, suo fratello bastardo. Questi fu sconfitto e tratto prigioniero a Napoli. Re Pietro se ne adirò, ritenendo responsabile della sconfitta il fratellastro.
In questo s’innesta un fatto, che ha qualche attinenza con quello narrato in apertura, ma con situazione ribaltata. Il Costanzo, storico napoletano scrive: “Non mi pare di lasciar addietro un atto notabile d’una donna messinese, chiamata Camiola Turinga, essendo a giudizio mio degnissima d’essere connumerata tra le più illustri donne che siano state mai”.
Camiola era molto ricca. Saputo che Goffredo Marzano, aveva fatto prigioniero Orlando d’Aragona e, per il riscatto, chiedeva 12mila ducati e re Pietro sdegnato, come accennato, non voleva saperne di versarli, si offerse “si offerse di pagar ella la taglia, pur che volesse torla per legittima moglie”.
Orlando accettò; sottoscrisse, di suo pugno, che giunto a Messina avrebbe sposato Camiola, ma una volta libero finse di non ricordarsi più della promessa fatta. La donna chiese “che volesse attendere quel che avea promesso”. La risposta fu che “non conveniva a uomo di sangue reale pigliar donna di sì basso affare”.
Camiola sdegnata lo fece chiamare a Corte e Orlando fu costretto a addivenire il matrimonio.
Tutto fu preparato in casa della donna con grande sfarzo; “la persona di lei addobbata di ricchissime vesti”; “venne il Bastardo con gran compagnia per fare lo sposalizio”. La sposa, però, davanti ai convenuti, accorsi per partecipare alla cerimonia, disse: “ch’ella da che lo conobbe tanto vile, che, venuto in Messina, non venne come dovea ad attendere la parola sua, aveva deliberato di non volere per marito un uomo, che con tanta dappocaggine ed ingratitudine avea offuscato lo splendore del sangue reale”. Aggiunse che aveva voluto citarlo in giudizio “non già pentita del primo proposito, né con animo di volerlo più, ma per fare più nota la mala qualità di lui, e che gli donava, com’a uomo miserabile la taglia che avea pagata per lui”.
Orlando se partì ”con molto scorno”. Camiola, fra lo stupore degli intervenuti, si congedò e andò a monacarsi in un monastero, al quale diede gran parte delle sue ricchezze.
È proprio vero: niente di nuovo sotto il sole! La storia riportata può esser vista sotto diversi aspetti, ma non sfugga quanto il Costanzo tiene a sottolineare: l’ingratitudine è dei bastardi. E lui, lo storico, tiene a sottolinearlo non chiamando per nome il fratellastro di re Pietro d’Aragona, ma Bastardo, ovviamente non nel senso di figlio naturale, ma nell’accezione comune.
Giuseppe Abbruzzo