75 anni della Carta Costituzionale: tra valori da preservare e necessarie revisioni

Il primo gennaio 1948 la nostra Costituzione è entrata in vigore. Si tratta di una carta straordinariamente viva e attuale sul piano dei valori e dei diritti, mentre dimostra gli anni nella parte che riguarda l’assetto dello Stato, la distribuzione dei poteri e le competenze.

La prima parte rappresenta una delle costituzioni migliori al mondo: si preoccupa, infatti, non solo dei diritti della persona ma anche delle tutele, garantendone alcune di rilievo, dal diritto all’istruzione, alla tutela della salute e tant’altro. La parte datata e da rivedere – vista ovviamente con l’occhio inesperto di chi si occupa di tutt’altro – è sostanzialmente la seconda, a cominciare dai livelli di governo e dalla loro strutturazione. Oggi, in Italia i livelli di governo sono tanti e tali che, non infrequentemente, finiscono per cozzare e scontrarsi tra loro. Non sempre è agevole capire le competenze del  governo centrale, quelle regionali e  comunali. Per non parlare delle competenze delle Province, mai definitivamente scomparse, con una serie di rimpalli e di commistioni, che finiscono per rendere farraginosa la macchina amministrativa a tutti i livelli.  Nel secolo scorso si era, poi, tentato una politica di decentramento su tematiche che sarebbero, a nostro avviso, di competenza centrale: dalla scuola alla sanità. La gestione regionale della sanità ha finito per dimostrare tutte le sue falle con notevoli differenze in termini di prestazione e di efficacia del servizio.

Altro tema delicato è quello fiscale: nel nostro Paese si pagano una serie infinita di balzelli, che finiscono per disperdersi in mille rivoli, a livello comunale, regionale, centrale: pensiamo all’IMU, alla stessa IRPEF. La conseguenza è che nessuno di noi sa dove vanno a finire e come vengono spesi i soldi che noi versiamo in termini di tasse. In Inghilterra esiste un termine che non siamo in grado di tradurre in italiano, che è la “accountability”, in virtù del quale ogni cittadino riceve all’inizio dell’anno successivo il rendiconto di come sono stati spesi i propri soldi versati con i tributi. Un’operazione del genere in Italia sarebbe impensabile per quanto abbiamo sopra argomentato. Una macchina amministrativa desueta e ingarbugliata, che necessita in tempi brevi una revisione che, ci auguriamo, possa essere più condivisa possibile. Uno Stato snello e ammodernato nella sua organizzazione è condizione imprescindibile per l’efficienza di governo. I tentativi fatti negli anni, con le bicamerali, rispondevano più all’esigenza di piazzare delle bandierine che a un reale impulso di rinnovamento. Per arrivare a riforme condivise, è necessario un rinnovamento dei partiti, alcuni dei quali – pensiamo al PD – vanno totalmente rifondati. Operazione oggi più semplice che in passato. Negli ultimi 10 anni si è assistito a una commistione nella formazione dei governi che non ha certo giovato all’identità dei partiti. Oggi abbiamo una Destra di governo con una solida maggioranza, che sta dimostrando il suo vero volto: dopo anni di prediche sulle tasse e le accise eccessive, come regalo del nuovo anno, il governo Meloni le ha aumentate. C’è dunque una Destra con un suo programma chiaro (aberrante dal nostro punto di vista, ma chiaro); c’è bisogno di un partito di Sinistra che non può che nascere – com’è stato recentemente scritto – da un big bang. Dalle ceneri di un partito che ha candidato Binetti e Casini, dovrà nascere un nuovo organismo in grado di catalizzare i milioni di voti che in questi anni ha perso il PD.

Massimo Conocchia

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