La magica notte d’Epifania e i tanti ricordi
Questa è la notte d’Epifania.
Quante memorie mi son tornate!
Io mi ricordo la nonna mia
e le novelle che m’ha narrate…
Così inizia la bellissima ballata La notte d’Epifania di Filippo Greco.
Ora che sono avanti negli anni rivedo e risento la nonna, accanto al focolare, e i racconti sulla notte dell’Epifania. Il racconto degli animali che parlavano.
Io, che di animali avevo solo un gatto, che era l’amico più fedele che avessi potuto avere, volevo sapere cosa pensasse di me, ma la nonna mia Maestra di Cultura popolare mi dissuadeva subito: – Attento che questa cosa non si può fare! -. Se avessi voluto la prova, per questa proibizione era bella e pronta: “Un massaro, diceva la nonna, voleva sapere cosa dicevano le sue bestie di lui.
Quella notte andò nella stalla, si nascose. Le sentì parlare, ma gli venne un colpo e morì!
Tu non farlo, perché tanti sono diventati statue di marmo.
Se succede a te come faremo? Dove lo troveremo un altro come te?…”.
Allora, giocoforza dovevo astenermi dal tentare quell’impresa.
Nella vigilia d’Epifania si poneva nel focolare un grosso ceppo e alla mezzanotte, che era una notte magica, mia nonna diceva che bisognava stuzzicarlo e farne uscire il maggior nuvolo di faville e chiedere: – Tante pecore, tante capre, tante vacche -. Se la magia fosse andata in porto l’indomani tutti quegli animali, tanti quante le faville fuoruscite dal tronco, si sarebbero trovati davanti alla porta di casa. Provai, senza sapere che me ne sarei fatto poi di tutti quegli animali preziosi. Ogni volta, al mattino, avevo la delusione del nulla! Chi poteva dirmi il perché? La nonna. Lei era la Maestra in queste cose. Mi diceva che la magia non riusciva che solo raramente. Si realizzava per i buoni e i fortunati. Io ripetevo la prova delle faville, senza saltare un anno, ma quella magia non si realizzava mai.
Si era in guerra. Arrivava la Befana e portava una crocetta (fichi imbottiti con mandorle, noci sovrapposti in croce e infornati) un soldo (20 cent. di lira) raramente un’arancia. Non mancava, almeno per me, un po’ di cenere e carbone. Tutto lì? Tutto lì!
Un interrogativo mi ronzava nella testa: Come mai la Befana, che girava il mondo sul suo asino volante, non mi portava quelle strane cose delle quali mi parlava la nonna: la cioccolata, i vari tipi di caramelle, ecc. ecc. ecc. Facevo ripetere alla nonna, senza capirne un bel nulla, cosa portasse ai bambini prima della guerra quella benedetta Befana. Lei raccontava, ma lei, la Befana, che poteva tutto, perché non li portava anche a noi? – C’è la guerra, diceva la nonna, e ha paura delle bombe, … ha paura che le rubino tutto, anche l’asino …-. Mi ripeteva del pacco che mi avevano spedito quando ero a Verbicaro, dentro al quale il nonno mi aveva inviato un cavallo, montato da un trombettiere. Si erano rubato il pacco, diceva la nonna “perché il trombettiere aveva suonato”. – Ora la Befana come fa a portare quelle cose? Se, per caso, se ne accorgono la fermano, le sequestrano tutto e la mandano in campo di concentramento … -.
– Siamo sfortunati! (dicevo) Siamo proprio sfortunati! -.
Il nonno ascoltava silenzioso e triste. Fingeva di leggere un libro. Fingeva, perché non gli vedevo girare la pagina, ma non osavo chiedergli, perché fosse triste.
A quei racconti e a quelle mie domande evidentemente provava emozioni, che io, data l’età non potevo capire. Lo capisco ora e penso a quelli della mia età d’allora, che ora si trovano a patire le stesse sofferenze e le stesse privazioni, per effetto di una guerra.
Si dice di una guerra ingiusta.
Tutte le guerre sono ingiuste e tutti soffrono quei problemi che vi sono connessi. Problemi. che possono capire a pieno quanti, per forza di cose, sono stati e furono costretti a viverli.
Giuseppe Abbruzzo