La Guerra in Ucraina e lo stallo dell’Europa

La partecipata manifestazione per la pace del 5 novembre 2022, contrapposta al flop di quella antitetica di Milano, organizzata dal cosiddetto Terzo polo, è uno spaccato assai vivo e concreto della situazione in cui versa l’opposizione in Italia e, al contempo, mette in luce le diverse anime dello schieramento contrapposto all’attuale maggioranza. Il successo della manifestazione romana, a differenza di quanto sosteneva il passato governo, sta a dimostrare che la maggioranza degli italiani è contro la guerra e contro l’ulteriore invio di armi all’Ucraina. Quello in atto – come da più parti sottolineato – ben lungi dal rappresentare un conflitto Russia – Ucraina, è una guerra Russia – Nato, che si svolge sul territorio ucraino. La Nato ci mette, infatti, mezzi, intelligence, uomini, ingenti risorse finanziarie. Fermo restando la condanna assoluta, senza se e senza ma, dell’invasione russa, non riteniamo che continuare a inviare armi sia la strada migliore per giungere alla fine del conflitto, così come non riteniamo che le sanzioni dell’UE abbiano, ad oggi, messo in seria difficoltà la Russia, mentre riteniamo molto più dolorose le contro sanzioni che quest’ultima ha inflitto all’Europa.   Ma ciò che ha messo in luce la manifestazione romana ,  al di là della straordinaria partecipazione, è l’enorme frammentazione di uno schieramento che è allo sbando. Osservare in tv la faccia spaesata di Enrico Letta, che si reca a una manifestazione per la pace e per lo stop al riarmo ucraino, sostenendo la necessità di perseguire con l’invio di mezzi militari, è forse l’immagine più eloquente di uno stato confusionale, allo sto irreversibile. La logica conseguenza di questa posizione sono stati i fischi e le contestazioni dei partecipanti, che vedevano nel segretario del PD l’emblema dello sbando e della mancanza di chiarezza. La gente non vuole la guerra. Paradossale, poi, la posizione di  Calenda che vorrebbe perseguire la pace attraverso l’alimentazione del conflitto. La via negoziale resta l’unica possibilità di giungere realisticamente a un cessate il fuoco. Che una parte della Sinistra, abbia oggi rinunciato a uno dei suoi elementi identitari per rispondere a un dictat degli Stati Uniti, è qualcosa di perverso e innaturale. Pensare che alimentare la resistenza ucraina possa indurre Putin a una resa ci pare irrealistico  e ingenuo.  Che fare allora? Convincere Zalenski a sedersi a un tavolo e cercare di chiudere un conflitto che, ad oggi, è costato migliaia di morti tra la sua gente, anche se questo, come tutti i negoziati dovesse significare accettare dei compromessi. La pace, in assenza di una resa senza condizioni, è sempre frutto di un compromesso. Non c’è compromesso senza qualche concessione. L’alternativa sarebbe proseguire senza condizioni un conflitto che, di fatto, è bloccato. La storia insegna che conflitti del genere possono perpetrarsi per anni o decenni e le conseguenze amare per le popolazioni sono sempre state terribili e ingenti. Il negoziato può partire solo se gli Stati Uniti e l’Europa faranno capire al presidente ucraino che il sostegno militare non può essere infinito e, siamo sicuri, che a parti invertite, la posizione degli ucraini non sarebbe stata dissimile. Compromesso non vuol dire, ovviamente, umiliazione o mortificazione ma, appunto, predisposizione a trattare alla pari (ad oggi ci sono le condizioni). Interesse della Russia non può essere la prosecuzione all’infinito di un conflitto, per cui ognuno delle due parti dovrà cedere qualcosa. Al di fuori di questa posizione, che dovrà essere innescata dalla Nato e dagli Stati uniti in primis, ci saranno solo ulteriori morti da piangere e immani sofferenze per le popolazioni civili. Paragonare, come fa il leader di Azione, la resistenza del popolo ucraino a quella degli italiani durante la Seconda guerra mondiale è del tutto fuori luogo: in quel caso si trattava di una guerra civile di una parte dell’Italia che combatteva contro chi aveva oppresso un Paese per vent’anni e contro gli alleati più fedeli di quel regime. Era una guerra anzitutto intestina, che prevedeva come condizione imprescindibile l’armistizio con le forze anglo-americane per l’impossibilità di proseguire un conflitto da parte di una nazione allo stremo e impegnata in una battaglia interna.  Anche quella pace non fu indolore per l’Italia ma era necessario chiudere e voltare pagina. Le forze alleate sono intervenute nell’ambito di un conflitto già in atto e che le vedeva direttamente coinvolte. L’Italia e la Francia erano territori strategici e cruciali nella lotta contro il nazi-fascismo e quindi c’era un interesse diretto a intervenire in soccorso di quei popoli. Oggi ci troviamo di fronte a un conflitto di fatto bloccato e del quale non si intravvede una soluzione a breve termine. L’unica soluzione è quella negoziale, che non potrà partire senza indurre il presidente ucraino a sedersi a un tavolo con un atteggiamento certamente non remissivo o da perdente ma nemmeno tale da imporre condizioni. Entrambe le parti in causa hanno interesse a chiudere la  partita e a farlo senza perdere faccia e dignità. Da parte sua, l’Europa non può avere interesse alcuno a fomentare un conflitto a oltranza, che porterebbe solo altro dolore e perdite umane.

Massimo Conocchia

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