Merito
“La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso” (articolo 34/ Titolo II – Rapporti etico-sociali).
Nel 1861, all’indomani dell’unificazione l’Italia contava una media del 78% di analfabeti con punte massime del 91% inSardegna e del 90% in Calabria e Sicilia, del 57% in Piemonte e del 60% in Lombardia. Negli anni della scrittura della Costituzione, entrata in vigore nel 1948, l’analfabetismo coprivacirca il 25% della popolazione con punte più alte nel sud. La riforma Gentile del 1923 aveva posto l’obbligo scolastico fino ai 14 anni ma tutto rimase lettera morta fino al 1962/1963, quando fu avviata la riforma dell’unificazione della scuola media. I “meritevoli” della Costituzione erano i giovani di una società povera, per lo più agricola, uscita dalla guerra. Meritevoli di proseguire oltre l’obbligo di 8 anni erano i figli di quella società a cui dare l’opportunità di usare borse di studio, assegni alle famiglie “attribuite per concorso”.
Ma dove nasce l’idea di merito? Il termine proviene dal libro “The Rise of the Meritocracy” (L’ascesa della meritocrazia) del sociologo e britannico Michael Young, pubblicato per la prima volta nel 1958. Si tratta di un libro satirico che descrive una società distopica in un Regno Unito del futuro in cui l’intelligenza e il merito sono diventati l’elemento centrale della società, sostituendo le precedenti divisioni di classe sociale e creando una società stratificata tra un’élite di meritevoli che detiene il potere e un sottoproletariato di meno meritevoli. L’autore immaginava un’ipotetica società del 2033 (lontanissimo nel 1958 a soli 11 anni da noi) stravolta da riforme ispirate alla misurazione scientifica dell’intelligenza. Anziché realizzare un ideale democratico, quella società finiva per riflettere diseguaglianze profonde tra un’élite meritevole con alto quoziente intellettivo e un insieme di classi subalterne meno meritevoli e prive dei diritti dell’élite. Il saggio, alla fine degli anni Cinquanta, satireggiava e ridicolizzava il sistema educativo selettivo inglese. Per una nemesi della storia il merito da satira distopica diventa un valore delle società liberali.
Al netto delle forzature e delle interpretazioni condizionate dall’attuale polarizzazione del dibattito politico, il concetto di merito e quello di meritocrazia sono da tempo argomento di molte discussioni che ne evidenziano alcuni aspetti condivisibili e moltipiù problematici e controversi. Nelle società come le nostre,caratterizzate da forti diseguaglianze economiche è più probabile che l’applicazione di principi meritocratici finisca insomma per premiare chi è più ricco e ha potuto permettersi studi ed esperienze formative migliori. Gli strumenti di sostegno economico per gli studenti di famiglie più povere possono essere importantissimi e determinanti per i singoli, nei fatti però non si avvicinano affatto a bilanciare la disparità sociale se si considera l’intera popolazione studentesca.
Nel 2020 il filosofo americano Michael Sandel pubblica il libro “La tirannia del merito”. Secondo Sandel, attribuire eccessiva importanza al merito individuale tende a indebolire l’etica pubblica collettiva a favore della selezione individualista propria del modello liberista.
Se un governo di destra aggiunge la parola “merito” al titolo del Ministero dell’Istruzione è perché in quella visione la diseguaglianza è un fatto naturale da mitigare con il contagocce del merito. La scuola è invece una istituzione per tutte e tutti, il merito è solo una trappola retorica paternalista e populista che finisce per premiare con il contagocce i pochi individui “fortunati”che non è detto siano proprio “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi” della Costituzione.
Assunta Viteritti