La “conicella” della Consolata

Poco discosto dal rione Padia, nei pressi della località S. Cataldo, fino agli anni 1960, c’era una icona, nella quale vi era custodita un’immagine della Madonna della Consolata.

Diciamo, per chi non lo sapesse, che conicèlla è il diminutivo di icona (edicola). Nel nostro dialetto, come detto altra volta, generalmente, si elimina la vocale iniziale. In questo caso si elide la i, perciò la voce suona ‘cona, da cui ‘conicèlla (piccola icona).

Quella icona ora è inglobata in una cappellina.

Ricordiamo, ancora, che “Fino dal giugno 1648 Carlo Emanuele II con pubblico editto dichiarò la Vergine Consolata patrona, signora e madre di tutta la Real Casa di Savoja, delle sue terre e popoli, e di quanti scenderebbero dal suo sangue. Nel settembre del 1706, e poscia nel maggio del 1714, i decurioni dell’inclita città di Torino elessero a patrona dell’augusta metropoli la Madre delle consolazioni, consacrando a lei con forma solenne la città e i cittadini”. Così a Torino, ma da chi e perché fu eretta quella icona ad Acri? Come e perché fu intitolata alla Madonna della Consolata, come la chiama il popolo? A queste domande non è possibile dare risposta.

Si ricorda che le icone venivano erette dove era stato ucciso qualcuno; dove qualcuno aveva ricevuto un “miracolo”; da chi si era salvato da qualche malanno o cattiva azione di qualcuno, ecc.

Cosa è avvenuto in quel luogo? Non lo sappiamo.

Siamo a conoscenza che il popolo ritiene quella Madonna miracolosa.

L’immagine olio su tavola è opera dei miei anni giovanili.

In maggio, le donne vi si recano, di buon mattino, recitando preghiere e impetrando grazie. A volte, nei tempi passati, lo facevano di sera. Accendevano, nell’interno dell’icona, lumini e pezzi di candele che, purtroppo, per effetto del calore si piegavano e bruciavano l’immagine. A quel punto, una fedele si rivolgeva a me, che mi dilettavo di dipingere qualcosa, perché rifacessi l’immagine della Madonna. La rifeci più e più volte, minacciando sempre che quella sarebbe stata l’ultima.

Quando l’icona fu inglobata nella cappella, chiusa con lucchetto, quegli incidenti finirono.

La gente, comunque, continua a sciamare e a impetrare grazie, sicura che la Madonna le esaudirà.

Le fedeli, in gruppo, si avviano di buon mattino, per evitare il caldo e gli occhi indiscreti. La sera continuano a recarsi a piedi, recitando preghiere e, in un linguaggio muto, chiedendo grazie.

Quando ero ragazzo, insieme ad altri, che avevano, più o meno, la mia stessa età avevamo, fra i passatempi uno che non avremmo mai dovuto mettere in atto, riflettendo col senno di poi.

Andavamo nelle ultime case del rione Padia, dove la frana secolare aveva deciso di fermarsi, ci acquattavamo su un vecchio, abbandonato vignàno (poggiolo che si usava costruire davanti alle porte d’ingresso delle case) tanto da non esser visti.

Erano gli ultimi anni di guerra e quelli immediatamente successivi. Madri, mogli, sorelle di soldati, dei quali non si conosceva la sorte, andavano a chiedere la grazia di farli ritornare sani e salvi. Noi non pensavamo a questo e al dolore di quella gente, se no non avremmo messo in atto il nostro “gioco”. Avevamo presente solo che le ragazze, chiedevano alla Madonna di far loro trovare un marito “bello, sano e saporito”, come recitava una scherzosa giaculatoria.

Al veder passare quelle giovani e le varie donne, nella via sottostante, gridavamo, a seconda di quanto ci frullava per la mente; – Noni! Noni! (No! No!) – o – Sini! Sini! (Si!, Si!)-. Le vedevamo guardare verso il luogo dove venivano le voci, nella vana ricerca di vedere chi avesse pronunciato quel responso affermativo o negativo in risposta alla loro tacita richiesta.

Per loro quei “signi” (segni), come li chiamavano, era la risposta voluta dalla Madonna della Consolata alla loro richiesta. Nella realtà era il nostro scherzo. Viene, ora, un dubbio: e, se fossimo stati noi gli involontari strumenti per dare la risposta alla grazia richiesta?

Giudicate voi.

La verità è che continua quello sciamare, ma gli involontari strumenti non vi sono più. I ragazzi hanno altro e più sofisticato per passare il tempo!

Giuseppe Abbruzzo

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