Perdonare fa bene a te e agli altri: ecco come farlo
Spesso capita di perdonarea parole, mentre nei fatti conserviamo intatto il risentimento. Il tema del perdono è stato discusso sempre sotto la lente deformante del giudizio morale. Perdonare è sempre il comportamento corretto e giusto da mettere in campo quando subiamo un torto?
Molti di noi hanno una o più spine nel fianco, un conto in sospeso con il passato. Qualcosa che debilita la felicità attuale, che toglie la forza di costruire un presente soddisfacente. Tutti, in qualche modo, conserviamo la nostra piccola quota di rancore verso qualcosa o qualcuno.
Il modo migliore per superare questo dilemma consiste nel definire cosa si intendeinnanzitutto per perdono. Perdonare non significa dirci che ciò che è accaduto in un dato momento è stato positivo se non è così. Non significa nemmeno “accettare”, né riconciliarsi con la persona che ci ha fatto del male nascondendo il malessere.
Ancora meno obbligarci a sentire vicinanza o pietà per lei. Non è neppure fingere con se stessi che non sia successo niente. Ciò comporta un’enorme capacità di sacrificio e sopportazione, un incremento della rabbia repressa.
Si crea così unafalsa immagine di sé, quella della brava persona che sa perdonare tutto e tutti. Una finzione che ci fa recitare il ruolo di anime belle e che talvolta diventa per paradosso un’arma di ricatto. Come a dire: “ora sei in debito, visto quello che ti ho perdonato”.
Il perdono autentico non prevede scambi. È gratis. E’ accettare che le cose siano andate in un certo modo. Niente di quello che è successo in un preciso momento del nostro passato può essere cambiato. Pertanto, dobbiamo smettere di fare ipotesi, di perdere energie, buonumore e salute immaginando come avrebbero potuto essere le cose se fossero andate in modo diverso.
Si tratta piuttosto di appianare il conflitto del risentimento, di andare a togliere un po’ di strati alla rabbia, un po’ di intensità alla disperazione e a questo blocco che ci impedisce di respirare. Per questo, è necessario smettere di odiare chi ci ha ferito.
Studi sulla psicologia del perdono
Il Dottor Bob Enright, dell’Università del Wisconsin, è uno degli esperti più celebri nello studio della psicologia del perdono. Dopo più di tre decenni dedicati all’analisi di diversi casi, alla realizzazione di studi e alla scrittura di libri sull’argomento, ha tratto delle conclusioni che forse possono stupirci.
Non tutte le persone ci riescono, non siamo tutti capaci di fare quel passo che porta al perdono. La ragione di ciò risiede nella credenza per cui perdonare sia una forma didebolezza. È un errore. Una delle migliori idee che ci regala la psicologia del perdono è che perdonare ci dà l’opportunità di integrare nel nostro essere nuovi valori e strategie per affrontare qualsiasi fonte di stress e ansia. Perché perdonare e riciclare i risentimenti nella più totale libertà è un atto di forza e coraggio.
Il Dottor Enright ci ricorda anche che ci sono molte ragioni che giustificano e sostengono il perdono. La migliore di tutte è che ci guadagneremo in salute, in quanto l’ansia si placa.
Cerchiamo, dunque, di mettere in pratica alcune delle seguenti strategie per rendere più semplice il cammino del perdono:
- Perdonare non vuol dire dimenticare, è imparare a pensare meglio, comprendendo che non siamo obbligati a riconciliarci, ma ad accettare ciò che è stato, senza sentirci “deboli” per questo.
- Perdonare è liberarsi di molti pesi che non meritiamo di sopportare per tutta la vita.
- Odiare ci sottrae le energie, l’entusiasmo e la speranza. Dobbiamo imparare a perdonare per sopravvivere, per vivere con più dignità. Dobbiamo comprendere che il tempo di per sé non aiuta. Lasciar passare i giorni, i mesi e gli anni non ci farà smettere di odiare e non ci farà dimenticare l’accaduto. Non lasciamo al domani il fastidio che proviamo oggi.
- Il perdono è un processo. Forse non riusciamo a perdonare del tutto l’altra persona, ma possiamo scaricare buona parte del risentimento.
Come abbiamo visto, l’ambito della psicologia del perdono è molto ampio e ha, a sua volta, una relazione molto stretta conla salute e il benessere. È una disciplina che ci offre fantastiche strategie che è possibile applicare a qualsiasi ambito della nostra vita. Perdonare è, dunque, una delle abilità e delle virtù migliori da sviluppare.
Susanna Tamaro, in occasione dei suoi 60 anni, ha rilasciato un’intervista nella quale sostiene di aver sperimentato il perdono:
«Ho cercato negli ultimi anni di fare delle cose belle con mia madre per avere di lei anche dei ricordi felici». E’ quello che ho cercato di fare anch’io, ma ho fatto tanta fatica e non sono sicura di esserci riuscita.
Il vero perdono deve accadere senza sforzo, senza parlarne troppo, senza farlo pesare. Solo un perdono vero riapre il futuro alla nostra vita. Un perdono apparente ci impedisce di guardare avanti con il cuore libero.
Dobbiamo comprendere che il torto subito è solo espressione di un limite dell’altro e che non poteva fare diversamente in quel momento. Allora vedremo la sua fragilità e il perdono si produrrà da sé.
Quante volte dovremmo perdonare? Chiede Pietro a Gesù. Egli vuole regolamentare, stabilire un tariffario, precisare qual è l’ultima possibilità da dare a una persona.
Gesù gli dice che non c’è un’ultima volta e che è ora di smetterla di fare una puntigliosa contabilità. Così, davanti al dubbio amletico “perdono o non perdono”, facciamo altro, viviamo, stiamo centrati su noi stessi.
Credenti o meno, dovremmo tenere a mente le parole di Gesù. Alla fine, anche noi potremmo sbagliare infinite volte e vorremmo sempre essere perdonati. Perché allora non restituire il favore a tutti gli altri?
Elena Ricci