L’alluvione nelle Marche: disastro inevitabile o frutto di scelte scellerate?

La recente alluvione nelle Marche ha messo in luce quanto le forze della natura possano essere impietose e, probabilmente, tanto altro, a cominciare da un paesaggio e un territorio assai spesso stravolti dalla mano dell’uomo che, non infrequentemente, è causa essa stessa dei suoi disastri. Stare lontano dai corsi d’acqua è sempre stato uno dei principi basilari per costruire in sicurezza. Tenere i greti dei fiumi puliti è un altro imperativo inderogabile. Eppure eventi più e meno recenti sembrano non avere insegnato nulla. Se è vero che le precipitazioni della scorsa settimana sono state eccezionali (si è riversata in quelle zone, in poche ore, poco meno del 50% delle precipitazioni medie di un anno), è altrettanto vero che il rispetto di norme basilari avrebbero probabilmente limitato e di molto i danni. Senza considerare che in molte zone prossime ai fiumi i piani terreni erano adibiti ad abitazioni civili con le conseguenze che abbiamo visto.

Se l’entità dei danni e i costi in termini di vite umane spazzate via sono stati ingenti in zone generalmente ben servite ed amministrate, proviamo a pensare cosa la furia della natura potrebbe causare in zone come le nostra. Ad Acri i greti dei fiumi sono stati abitualmente sede di costruzioni civili. Il fiume stesso, come abbiamo più volte scritto, anche su queste pagine, è stato “tombato” con l’ovvia conseguenza di avere privato il fiume di una via di scarico naturale in caso di piene eccezionali, che ci auguriamo non debbano mai verificarsi. Ci riecheggiano ancora nella mente le parole ammonitrici di un noto architetto di levatura internazionale, giunto ad Acri in quanto incaricato della stesura del piano regolatore: “solo gli imbecilli vanno a tombare i fiumi. Dio vi salvi dalle forze della natura”.

A questo punto si tratta di limitare i danni, creando vie di fuga delle eventuali piene a monte del collo di bottiglia creato dall’uomo e che determinerebbe immaginabili conseguenze in caso di piene che non riuscirebbero a trovare lo sfogo naturale.

“E l’uomo la stoltezza sua chiama destino”, così Omero, nell’iliade.

Eventi come quelli delle Marche dovrebbero rappresentare per noi spie ammonitrici che imporrebbero l’adozione di misure che, per tempo, porterebbero a limitare i danni, che sarebbero triplicati rispetto ad altre zone, sia per la particolare orografia, sia per le scelte scellerate di cui sopra, sia per un sistema di protezione civile che, in situazioni analoghe, ha dimostrato non poche difficoltà.

Correggere errori del passato non si può. Certamente, però, si può e si deve porre in atto misure in grado di prevenire conseguenze come quelle cui abbiamo, purtroppo, assistito. Occorre un piano regionale contro i rischi idrogeologici e l’adozione di misure per la messa in sicurezza degli edifici. Il superbonus ad esempio, anziché essere demonizzato, potrebbe, invece – come da qualche parte è stato proposto (vedi Legnini su Repubblica del 18 settembre) -, essere utilizzato per mettere al sicuro le nostre abitazioni da eventi di natura eccezionale.

Massimo Conocchia

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Una risposta

  1. LANFRANCO BUSSETTI ha detto:

    Nello scorso secolo le progettazioni idrauliche avevano un punto fermo di partenza.
    Le dighe, gli scarichi annessi per il troppo pieno erano calcolati in funzione della piena millenaria (ciò che sarebbe potuto succedere nell’arco di mille anni) tutto questo sulla base del bacino imbrifero preso in esame (tutti i torrenti anche ni più piccoli hanno il loro bacino imbrifero. Era costume che gli alvei venissero puliti con cadenza decennale e messi nelle condizioni di supportare eventi climatici rientranti in questa tipologia di eventi.
    Oggi invece non puoi più toccare un albero pericolante nei pressi di un alveo, non puoi più toccare un sasso mentre qualche decennio fa si dragavano i fiumi che nel trascorrere degli anni si riempivano di ciotolame. Oggi tutto questo non lo facciamo, anzi tombiamo anche il più piccolo rivolo per costruirvi sopra un qualsiasi manufatto. Poi?? il torrente riprende il suo cammino devastando tutto ciò che avevamo imbrigliato portando anche morte be distruzione.
    Nella mia attività di Sindaco al primo posto era la messa in sicurezza con la pulizia degli alvei, dei sotto passaggi dei due fiumi ricadenti nel mio territorio il primo il torrente PORTALATERRA (il nome dice tutto) e l’altro l’altro Argentino con un bacino imbrifero di 5km2 ed una lunghezza di oltre 15km.

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