Che tempi!
“Scuola di S. Martino nel Comune di Acri. La luce entra dalla porta e da una piccola finestra a inferriata. Pavimento sconnesso; pareti non levigate e sudice, soffitto annerito e sconnesso. Nell’aula dorme la maestra e il lettuccio è nascosto alla vista degli alunni da una misera tenda. Nei pressi della porta d’ingresso vi è un porcile. Non vi è traccia di arredamento e i bimbi siedono su tavole infisse su pali”.
Questo scrive Gino Orias, trattando della questione meridionale, nel 1919.
Questa nell’immediato dopoguerra 1940 era ancora la condizione delle rare scuole che si trovavano nelle contrade del Comune di Acri.
Come poteva essere diversamente se i contadini, che vi abitavano avevano dimore che erano simili a quelle della scuola descritta?
La maestra dormiva nella scuola! Le scuole erano raggiungibili solo a dorso d’asino, per chi se lo poteva permettere o, come faceva il sottoscritto, che è approdato, da supplente in tutte le scuole del Là Mucone e altrove, che si serviva pazientemente del cavallo di S. Francesco.
Le strade erano mulattiere le cui condizioni sono inimmaginabili e inenarrabili.
In quanto al lettuccio lasciamo stare. Può dire qualcosa di tutto questo chi ha insegnato da supplente e non in quegli ormai lontani anni.
I bimbi, come denomina gli scolari l’Orias, erano quasi tutti scalzi, malvestiti. Per loro la scuola era un luogo dove riposare dalle fatiche del raccogliere castagne e olive o pascolare il piccolo gregge con qualsiasi condizione atmosferica. Descrivere la loro condizione ci porterebbe assai lontano. Considerando su quella vita-non vita viene da dire col Sommo Poeta: e se non piangi di che pianger suoli?
Chi viveva a loro stretto contatto ed aveva un briciolo di sensibilità ne soffriva e non poco.
Chi vive ai nostri tempi pensa che tutto quanto di cui si dispone sia frutto del caso; un dono di qualche santo o degli dei. Tutto è frutto di lotte, soprusi, invettive contro chi tentava di rivendicare una vita migliore di quella descritta.
In Acri centro, riguardo alla scuola, fino agli anni ’50 del secolo scorso vi era solo l’edificio centrale: le Monachelle, costruito nel 1940 e, dato che in quegli anni, come dice qualcuno, le cose si facevano per bene, si ebbero crolli nel tetto a fine di quegli anni. Gli edifici scolastici costruiti al centro e nelle contrade furono realizzati negli anni 1950-60.
Si ebbero le tante realizzazioni, che “grandi uomini”, successivamente, ebbero il gran merito di far chiudere o ridurre a una larva dell’iniziale.
Sarebbe giusto ricordare i cittadini e chi li guidava alla lotta per ottenere non concessioni, ma quanto era giusto e necessario per una vita civile.
Chi si sacrificò e sacrificò, chi gli stava a fianco, non è ricordato: – Tanto quello bisognava concederlo! -, dirò chi non ha vissuto quegli anni e quei momenti.
Strano? In quegli anni si diceva dai filogovernativi: – Acri è comunista, il governo è democristiano, perciò, non otterrà mai quanto gli spetta -.
Incredibilmente Acri, con le lotte, ottenne quanto altri Comuni ebbero decenni e decenni dopo.
Non serve elencare. Chi vuole ricercare, se ne ha voglia e capacità, scoprirà sorprese non poche. Va sottolineato che, come al solito, tanti, che si vestirono delle penne del pavone remavano, magari, contro.
I lettori mi scuseranno per lo sfogo, ma, nel descrivere la situazione suggerita dalle parole dell’Orias, inevitabilmente un idealista si lascia prendere la mano e di questo chiedo umilmente scusa.
Giuseppe Abbruzzo