Fare ciò che è giusto o ciò che è meglio?
In una miriade di attività umane – tra le quali ricade certamente la medicina – ci si trova assai frequentemente di fronte a un dilemma: fare la cosa giusta o la cosa migliore? La differenza tra queste due scelte non è sottile. In ogni campo bisogna per forza muoversi rispettando leggi e divieti. Non sempre, però, questo comportamento ortodosso ci mette al riparo da errori e sottovalutazioni. Ci sono alcuni aspetti della professione medica, ad esempio, che pongono il professionista di fronte a un dilemma di non facile soluzione. Alcune scelte non sono codificate da leggi o, in qualche caso, da queste vietate: ci riferiamo, ad esempio, al tema drammatico del fine vita e alla conseguente scelta di porre fine a sofferenze in casi nei quali non c’è alcuna prospettiva di guarigione, all’utilizzo di narcotici di fronte a dolori cronici intensi, alla decisione di interrompere la nutrizione in pazienti in stato vegetativo permanente, alle tematiche dell’interruzione volontaria di gravidanza, etc. Tutti temi che chiamano in causa il medico non solo in quanto professionista ma anche e soprattutto come uomo, con le sue idee e la sua visione del mondo. Personalmente, riteniamo che alcuni aspetti, come quello del fine vita, debbano, finalmente, essere affrontati per via legislativa. Il problema si è posto più volte in alcune più e meno recenti, drammatiche occasioni. Riteniamo, oltretutto, che queste tematiche non debbano essere influenzate da valenze fideistiche, meno che mai che queste ultime debbano essere condizionanti. In America, addirittura, si sta mettendo l’orologio delle conquiste sociali indietro di oltre mezzo secolo con la decisione dei giudici di vietare l’aborto. Uno Stato serio, prima di pensare di vietare l’interruzione di gravidanza, dovrebbe preoccuparsi di fornire strumenti adeguati (informativi e di profilassi) per prevenire le gravidanze indesiderate ma dovrebbe anche preoccuparsi di farsi carico adeguatamente dei figli che impone di mettere al mondo, vietando l’interruzione della gravidanza. Nella Cina di Mao, che non ci sogneremmo ma di additare come esempio positivo, tuttavia, tra i vari aspetti della cosiddetta rivoluzione culturale, ce n’era uno a nostro giudizio particolarmente rilevante per la sua portata in termini sociali: ci riferiamo alla legge che vietava alle famiglie povere di avere più di un figlio, a meno che non dimostrassero di avere le risorse necessarie per mantenerlo. Proviamo a pensare se una siffatta politica venisse estesa in molti Paesi in via di sviluppo. Anche qui il problema è complesso, dovendoci muovere tra ciò che sarebbe giusto (il diritto di scegliere di avere più figli) e ciò che sarebbe meglio (il dovere di garantire ai figli una vita dignitosa).
In sintesi, non sempre la cosa più giusta risulta essere la cosa migliore da fare né appare agevole scegliere tra le due. Il dubbio assale spesso ed è fonte di disagio e di crisi interiore. Un modo per uscire da questo dilemma sarebbe che, su questioni cruciali, che implicano anche scelte individuali, di coscienza, lo Stato si assumesse l’onere di legiferare senza condizionamenti, garantendo, ovviamente, la libertà sacrosanta di scelta individuale del professionista e l’obiezione di coscienza ma, al tempo stesso, mettendo chi si trova in trincea quotidiana nelle condizioni di agire più agevolmente. Il medico, come e più di altri, ha il dovere di obbedire alle leggi e rispettare il codice deontologico: è un a condizione essenziale e imprescindibile. Proprio per quanto appena detto, l’unica via d’uscita è che ci siano leggi tali da permettere di affrontare alcune tematiche affatto semplici, come è stato oltre 40 anni fa per la legge 194. Sarebbe, inoltre, opportuno che queste tematiche entrassero nel dibattito preelettorale tra le varie coalizioni. Come in altre occasioni, il nostro ruolo è quello di porre all’attenzione i problemi, senza partigianeria, auspicando un dibattito sereno e non condizionato.
Massimo Conocchia