I giovani (non) amano la politica

Stiamo assistendo ad una graduale ma rapida presa di distanza dei giovani dalla sfera politica, dalla cosa pubblica in generale e da tutto ciò che essa coinvolge. La voce di senso comune direbbe che sono i giovani a non essere più interessati alla politica a causa dello spostamento degli interessi generazionali verso valori individualistici piuttosto che comunitari. Ma forse questa affermazione si può problematizzare volgendo l’interrogativo alla politica.

È forse “questa” politica ad essere poco attraente per i più giovani, una politica fatta solo da adulti, spesso uomini, che si muove lontano dalle nuove generazioni quando invece dovrebbe piuttosto trasmettere loro messaggi di coinvolgimento verso ogni aspetto della vita a livello sociale ma anche emozionale.

Certo i più giovani, ma non solo loro, portano una convinzione “il mio voto non cambierà le sorti” oppure “è inutile tanto sono tutti uguali”. Eppure, in realtà i giovani sono volenterosi ad impegnarsi e a combattere per i propri valori e diritti quando la politica si fa portavoce di aspetti civili, culturali, emozionali e vitali. Ne è un esempio il DDL ZAN che ha raggiunto tra i più giovani picchi di consenso dell’85% mentre l’applauso dopo l’affossamento del Disegno di legge è stata la prova di come la politica e i giovani siano su due binari diversi. Quanti tra i più giovani si sono sentiti vicini in questi giorni a Mattia Santori, volto pubblico delle ex ‘Sardine’, oggi consigliere comunale del Pd a Bologna che ha dichiarato di coltivare e consumare cannabis? Quanti tra i più giovani nelle loro classi hanno amici e amiche che hanno altre culture o altre religioni di provenienza e che per questo si sentono ancora più parte del mondo più ampio senza nessuna incertezza o timore.

La vita di milioni di giovani è fatta di esperienze più dense e vitali di molti politici. Così loro fanno politica. Fanno volontariato, viaggiano, accettano e sono anche contenti della varietà individuali, cercano di andare incontro ai loro desideri. Gli adulti, spesso anche quelli che fanno politica, vanno piuttosto incontro alle loro ambizioni. I sindaci possono fare molto, possono parlare e ascoltare i più giovani nei contesti locali, senza paternalismo, alla pari. Le scuole possono fare molto.  La scuola pubblica ha una responsabilità, è uno spazio dove dovrebbe formarsi la capacità di giudizio e nei paesi democratici dovrebbe essere la “città dei molti”. Deve farlo di più. La scuola è ancora troppo ancorata a visioni paternalistiche e maschiliste. La scuola, come scriveva Bell Hooks, dovrebbe ingegnare a trasgredire e non ad ubbidire. Trasgredire significa allenarsi al pensiero e alle competenze critiche e creative, e cos’altro è la politica se non un allenamento critico e creativo?

Quanti giovani stanno capendo la crisi del governo Draghi? Quanti avranno letto un articolo o ascoltato la tv in queste ultime ore? La politica è un suono lontano di adulti che litigano tra loro e che sembrano tutti uguali. Una politica turbolenta di un paese poco affidabile, come può interessare generazioni di diciottenni o ventenni o 25enni che cercano di capire in che mondo sono, che cercano soluzioni per poter pensare il proprio futuro? I giovani non si avvicinano molto alla politica che spesso inaridisce e spegne.  Ma la politica ha una responsabilità, la sua vitalità futura, in democrazia, dipende dalla capacità di mettersi accanto ai più giovani che sempre più oggi vivono lontano dalla politica. Non sono generazioni individualiste, sono generazioni che cercano di essere soggetti, singolari, singoli e nel farlo cercano vicinanze che la politica non raccoglie.

Nelle prossime elezioni politiche nazionali c’è il pericolo di un voto maggiore a destra, solo una forte spinta verso valori e senso democratico capace di coinvolgere e ascoltare i più giovani e le loro esperienze potrà costruire nuovo senso e nuova linfa. Ne abbiamo bisogno.  

Assunta Viteritti

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