I conci di liquirizia rifugio di “briganti”
Il Maresciallo di Campo Ferdinando Nunziante incaricato, nel 1850, della distruzione del brigantaggio in Calabria, pubblicò un lungo manifesto, contenente le misure messe in atto.
Ne riportiamo parte sia per la rarità del documento, sia per i riferimenti che si leggeranno di seguito.
L’articolo 5 prescriveva: “Il Comandante Circondariale di Cassano dalle due Compagnie Cacciatori che gli si pendono, preleverà due distaccamenti i quali saranno piazzati uno in Corigliano che si terrà in corrispondenza con le Forze esistenti in Longobucco, Rossano, e Cassano istesso, e l’altro in Rocca Imperiale, con piccolo posto intermedio in Francavilla, mettendosi in relazione col sig. Tenente Lopez della Guardia di Pubblica Sicurezza Comandante le Forze riunite in Policoro e paesi circostanti della Provincia di Basilicata, con lo scopo di tener netti da Briganti i boschi di Policoro e Pantano. L’Uffiziale destinato in Corigliano sarà Comandante di quel Circondario e dipenderà direttamente dal Comandante Distrettuale di Rossano”.
Questo era la strategia e lo schieramento delle truppe. Vi era però un particolare che riguardava i conci di liquirizia.
I briganti, per svernare vi si rifugiavano.
Bisogna dire che nei conci lavoravano uomini e donne che da Acri andavano, soprattutto, in quelli di Corigliano. Fra questi non vi erano solo uomini e donne da bene, ma vi era, anche, chi aveva debiti con la giustizia.
L’articolo 6 del citato manifesta, perciò, stabiliva:
“I Comandanti Circondariali di Cassano e Corigliano terranno particolarmente di mira i conci di liquirizia, ove spesso soglion trovare asilo i Briganti, e vieteranno assolutamente che vi si tengono dei viveri in abbondanza, ma invece quella quantità che è strettamente necessaria per lo mantenimento di una giornata delle persone che vi sono impiegate. I Comandante suddetti mettendosi fra loro di accordo stabiliranno da quella parte due punti di passaggio sul fiume Crati durante il tempo che per la copiosità delle acque non è guadabile, ed in detti punti solamente si permetterà nel corso del giorno l’uso dei carri pel transito della gente prescrivendo che nella sera quei carri debbono rientrare nei rispettivi paesi”.
Nel 1864 Vincenzo Padula scriverà delle pagine bellissime sulla vita che si menava nei conci.
Le durezze, le angherie ecc. sono presentate come sa fare il grande Giornalista.
Quando chiede che si canti qualcosa. Si sente rispondere: “Nel carcere si canta, ma non nel concio”. Poi cantarono:
Povara vita mia, chi campi a fari
mo’ chi si chiusa dintra a quattrumura?
De mani e piedi mi fici ligàri
a ‘na nìvura fossa funna e scura.
Sul’ ‘a speranza nu’ mi fa sc-cattari,
e tu, riroggiu, chi mi cunti l’ura:
tannu mi criu de mi libarari
quannu mi dici: Su vintiquattrura.
Giuseppe Abbruzzo