Rinvenuto un raro discorso di Vincenzo Julia
Nel secondo Ottocento si doveva aprire, in Acri, il Convitto Calabro, ad opera dell’abruzzese E. M.
Vincenzo Julia doveva pronunciare il discorso per la inaugurazione, ma, non sappiamo perché e per come il Convitto non aprì mai i battenti. Il discorso non fu pronunciato e nel 1890, evidentemente sollecitato, l’autore lo inviò a una rivista dell’epoca che, fortunosamente, siamo riusciti a recuperare.
È un discorso dotto, come tutti quelli dello Julia, e ha squarci interessanti.
Ecco cosa dice di Acri di quei tempi: “Acri, o Signori, è stato finora un paese chiuso, isolato, eccentrico; perduto ne’ monti selvaggi, lungi dal commercio, che modifica i caratteri, e li spoglia della ruvidezza natia; esso però ha rappresentato sempre qualche cosa in Calabria, e fuori. Dotato di forza poderosa d’individualismo, ha caratteri spiccati ed originali, fantasia esuberante, primitiva, ingegno artistico, creatore. È paese, che merita di risorgere pienamente, massime ora che siamo più a contatto con la vita moderna, e quella tinta scura, propria delle silane montagne, che turbava la limpidezza del nostro cielo, va scomparendo a poco, a poco. Batte su queste rupi, a cui manca la verga di Mosè, il soffio fresco e vitale de’ tempi nuovi; non il soffio deleterio, che tante rovine ha finora accumulate, si bene l’aura giovine dell’arte e del pensiero moderno. Acri, ricco di glorie, ubertoso d’ingegni, merita di risorgere; deve ringiovanirsi questo paese, velato di nebbie, con le sue rupi alte e cineree, co’ suoi boschi secolari; paese, dove i nostri affetti, come canta il Padula, sono:
Alti, come alte son le nostre rupi,
Come i nostri burron taciti e fondi,
Come le nostre selve arcani e cupi.
Le fulgide stelle, emblema del nostro storico paese, si elevino vie più sulla montagna, brillino di nuova luce nel nostro limpido cielo, da cui i nostri poeti attinsero i più vivi colori, donde scendono i raggi luminosi dell’arte”.
Siamo tentati di riportare più parti riguardanti le lettere e quanto era ed è materia d’insegnamento, ma non si può abusare della pazienza di chi legge. Riteniamo giusto, però, riportare: “La storia è la coscienza delle Nazioni, e non è più un’arte solamente; essa è divenuta anche una scienza. La paleografia, lo studio delle fonti, l’esame dei testi; la cronologia portarono un sussidio incalcolabile, dettero alla storia una base scientifica e sicura. La Storia ha aperto nuove vie all’attività del pensiero; la scienza sociale è nata quasi in uno stesso giorno con la scienza storica. La geologia, la filologia comparata, l’etnografia hanno una fisonomia comune, paiono venute a far parte della Storia. Bisogna perciò studiare la storia, secondo l’esigenze della nuova critica, senza, perderci in astrattezze e nebulosità, scrutando fatti e documenti con occhio sereno e spassionato, senza preconcetti…”.
Ritorniamo su quanto evidenziato in un precedente articolo: sarebbe bene ricercare e studiare gli scritti dei nostri concittadini, che hanno lasciato una traccia interessante nelle lettere e nella pubblicistica scientifica. Perché questo sia possibile, però, vanno fatte ricerche serie, per il recupero di questo vastissimo materiale, in parte, come nel caso riportato, apparso su riviste, periodici e quotidiani dell’epoca.
Giuseppe Abbruzzo
Egregio Professore, ho letto con interesse il suo ultimo articolo e mi compiaccio con lei per la disponibilità di sempre a condividere. Questa volta è stato il discorso di Vincenzo Iulia ad essere illuminante, discorso di un letterato con una marcia in più rispetto ai tempi. Interessante il suo dire della Storia, divenuta scienza e dei sussidi che contribuirono al suo divenire tale. Interessanti i riferimenti a un certo tipo di metodologia, indispensabile perché lo studio sia libero da preconcetti e la conoscenza vera e universale.
In quanto al pensiero di V. Iulia su Acri, a distanza di tempo, diciamo con lui che oggi più che mai necessita di seri interventi perché merita di risorgere per quel che è stata ed è: una cittadina dalle mille risorse e dalle incredibili glorie.