Allarme voto

Che piaccia o meno, la chiamata alle urne del corpo elettorale rappresenta un bagno nella realtà.

Con le elezioni politiche ed amministrative si determinano le maggioranze, sulla carta stabili, per il governo dello Stato e delle sue articolazioni territoriali.

Il referendum rappresenta, invece, l’unico strumento di democrazia diretta previsto dalla nostra Costituzione e dalle leggi nazionali e regionali, mezzo attraverso il quale gli aventi diritto al voto partecipano attivamente, secondo le diverse forme della consultazione, alla determinazione della decisione politica.

Con il referendum il cittadino acquisisce responsabilità e consapevolezza diventando protagonista, in prima persona, del processo democratico del Paese.

Dal 1946 ad oggi, in Italia si sono svolti 73 referendum: 67 abrogativi, uno istituzionale, uno consultivo e quattro costituzionali.

In media quasi uno all’anno.

Storicamente, alcune delle decisioni rimesse al popolo sono state fondamentali per lo sviluppo istituzionale, economico e sociale dello Stato.

Si pensi alla consultazione del 1946 per la nascita della Repubblica o a quella, sul divorzio del 1974, che registrò l’affluenza incredibile dell’87,7 % e, tra i diversi quesiti, quella sull’aborto del 1981.

Nel corso degli anni, però, lo strumento referendario ha conosciuto una sorta di deflazione, espressione questa di un atteggiamento della classe politica volta a demandare al popolo scelte che, per loro natura e per le implicazioni di sistema che ne conseguono, possono e devono essere attuate in sede parlamentare, il solo luogo dove gli interessi connessi all’attività di regolamentazione trovano la loro inevitabile composizione.

Il referendum del 12 giugno scorso ne è stata la chiara espressione.

La realtà che emerge dalle urne del 12 giugno, con l’affluenza che si è fermata al 20,9 % dimostra, ancora una volta, che il popolo italiano si sta ribellando all’uso strumentale del referendum.

Si tratta del dato più basso in assoluto nella storia italiana, dato ancora più sconcertante, se confrontato con l’affluenza alle amministrative, pari al 54,69%, un record storico anche questo negativo, con un elettore su due che ha deciso di astenersi, che mette in evidenza il totale disinteresse per il referendum, dal momento che molti degli elettori, pur recandosi a votare per le comunali, non hanno ritirato le schede per i requisiti referendari. 

Questo fenomeno non è il tramonto dell’istituto, che certo deve essere meglio impiegato, ma è la sconfitta di una politica che, nel tempo e ripetutamente, ha cercato di impugnare a contrario lo strumento della democrazia diretta: non per far emergere domande politiche e bisogni diffusi nella società, ma per tutelare interessi di ristrette oligarchie, svincolandoli dai pesi e dalle procedure della democrazia rappresentativa.

Non meglio se la passa in voto diretto.

Evidentemente, qualcosa nel nostro Paese non va.

Sempre maggiore è l’astensione elettorale, segno di una democrazia malata che, per trovare il senso della sua intima legittimazione, ha urgente bisogno di una classe politica, in concreto diretta espressione della volontà popolare, che agisca con responsabilità istituzionale nel solco dei principi fondanti della nostra Nazione.

I cittadini, dal canto loro, per evitare questa pericolosa deriva, dovranno coscientemente recarsi sempre alle urne, esprimendo il loro voto, il vero sigillo della democrazia partecipata e rappresentativa.

Angelo Montalto

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