Io ho deciso di restare
Perché partono i nostri giovani? Dove vanno? La ragione principale per lasciare il nostro Paese, nel tempo, è rimasta sempre la stessa: cercare un lavoro.
Infatti, si scappa dalla disoccupazione, dalla precarietà o da un lavoro poco appagante. La mancanza di prospettive future rispetto al proprio livello di formazione ed esperienza professionale porta i giovani alla fuga.
Loro scelgono maggiormente le città (Milano, Roma, Firenze, Venezia, l’estero). La regione che ha invece il miglior saldo netto giovanile, come prevedibile, è la Lombardia. Ed ecco perché la maggior parte dei ragazzi punta a Milano per trovare nuove opportunità.
Città come queste possiedono aree ricche e centri urbani, elementi che mancano attualmente nel Mezzogiorno.Le grandi città che un tempo erano capitali di regni, Napoli e Palermo, non riescono a competere con Milano, Bologna o Roma.
Ci sono molte aree del Sud nelle quali si vive sotto una “cappa”, una serie di poteri e sovrastrutture in grado direprimere il talento e la fantasia. Sanno scoraggiare le iniziative private e sociali. Rimuovere un tappo asfissiante di tal tipo rappresenta un’impresa ardua.
Un laureato su tre lavora al centro-nord dell’Italia o all’estero. È quanto emerge da una ricerca dello Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) sui laureati meridionali. Il 31% di questi non trova lavoro al Sud o affronta il disagio di abbandonare il proprio luogo d’origine per ragioni di lavoro.
Il fenomeno riguarda allo stesso modo uomini e donne meridionali. Oggi anche le laureate emigrano in una quota pari a quella dei coetanei maschi, mentre in passato la scelta del trasferimento rappresentava una prerogativa quasi esclusivamente maschile.
Il dato è preoccupante perché conferma una condizione di sottosviluppo delMeridione, che non accenna a migliorare. Nel Nord Italia, il 10,11% dei neoassunti è laureato, contro il 5,6% del sud. Infatti, su 50 mila laureati nelle università meridionali, dopo tre anni dalla laurea, 20 mila non lavorano e 10 mila trovano occupazione al nord.
Anche nella città di Acri il fenomeno migratorio dei giovani è sotto gli occhi di tutti. Il centro di Statistica Demografica Admin Stat riporta questi dati per il nostro comune: nell’anno 2020 si è passati da 19.937 abitanti al 1° gennaio al 31 dicembre 19.380 con un saldo naturale di -112, un saldo migratorio di -445, con un saldo totale di -557 unità.
Sono in tanti a pensare che la maggior parte dei giovani italiani emigri o pianifichi di farlo, andando via dalle aree interne dello Stivale. A rovesciare una narrazione data per scontata è l’associazione Riabitare l’Italia che ha pubblicato i risultati di una ricerca sui giovani delle “Aree interne” italiane dal titolo «Giovani Dentro».
La ricerca è una delle prime iniziative dell’associazione, costituita nell’estate del 2020, ma nata da un laboratorio attivo già da tre anni che coinvolge esperti, accademici, operatori, attori sociali, cittadini, organizzazioni non governative, imprese, cooperative e aziende interessate al tema della riattivazione dei territori rurali interni, marginalizzati e montani del paese.
«Abbiamo concentrato l’attenzione sui giovani che sono attenti alle risorse che ci sono nei territori in cui nascono» ha detto il professor Andrea Membretti, ricercatore per EURAC.
Dalla ricerca emergono alcune ragioni in cui i giovani italiani manifestano la volontà di costruire un progetto di vita e lavoro nelle Aree interne: «Chi resta sceglie alcuni fattori – analizza il prof. Membretti coordinatore del progetto – a cui viene attribuito molto peso nella scelta: la migliore qualità della vita dal punto di vista ambientale e dello stile di vita, la possibilità di avere contatti umani e sociali più gratificanti, il minor costo della vita e perché il posto in cui si vive piace e offre opportunità per restare»
Anche ad Acri ci sono giovani che hanno deciso di restare. Volete un esempio?
C’è un ragazzo che è orgoglioso di essere rimasto nel suo paese. E’ stato un mio allievo. Ho deciso di incontrarlo e non vi nascondo l’emozione che ho provato dopo anni.
Angelo Francesco Cozzolino è un giovane di 34 anni dal carattere solare e lo sguardo luminoso. Dopo aver conseguito il diploma di Geometra, ha rilevato un pastificio dismesso nel 2010 e, iniziando da zero, ha avviato la sua attività.
Tutto nasce dall’arte di produrre pasta, tramandata da nonna Teresa e mamma Rosa, custodi dei segreti di particolari miscelazioni di farine e lavorazione delle grandi massaie del Sud Italia.
«Nel nostro pastificio – inizia così il suo racconto – si lavora in maniera artigianale, nel rispetto dei metodi classici di pastificazione, lasciando alle materie prime e alle fasi di produzione tutto il tempo necessario per dar vita a una pasta di altissima qualità»
Dopo due anni di prove, testando varie tecniche di lavorazione, nasce nel 2019 la linea di pasta secca “Cozzolino”. La nobiltà del bronzo, esclusivamente utilizzato per tutte le procedure, conferisce alla pasta una consistenza grezza. La lenta essiccazione, che avviene fra i 30/40 °C, non intacca la struttura molecolare degli amidi della pasta, così da conservarne genuinità, colore, profumo, sapore e consistenza. Per questo ha avuto grande successo anche all’estero conquistando i palati ad Amsterdam, Parigi e in altre regioni d’Europa. Un dato importante da sottolineare è che ambedue le linee di pasta fresca e secca vengono acquistate anche dalla ristorazione acrese.
Con la passione e la determinazione, Angelo ha avuto risultati eccellenti.
Il consiglio che si sente di dare ai suoi coetanei è quello di provare ad avviare un’attività, offrendo dei servizi necessari per la cittadinanza, confidando sulle proprie capacità senza fermarsi di fronte alle prime difficoltà. Scappare, a quanto pare, non è sempre la scelta più adeguata.
Elena Ricci
Francesco Angelo Cozzolino