Ad Acri si cancella la storia. La triste storia di don Fedele Marchianò e della lapide mortuaria
Una domanda che ci siamo posti, e l’abbiamo posta su “Confronto”, è: – Perché ad Acri si cancella la storia? – Si fa, forse, per ignoranza; per indifferenza; per qualcosa d’altro che ci sfugge?
Le tracce del quartiere goto, presenti in un rione della zona Castello sono via via sparite, senza che nessuno se ne sia accorto; o senza che nessuno sia intervenuto per fermare quanto avveniva.
Questo è uno degli esempi. Si potrebbe, anche, evidenziare che si è distrutto quanto rimaneva d’una porta d’ingresso della città nel rione Picitti. Chi se n’è accorto? Nessuno!
Si dirà: – Perché non l’avete fatto presente alle autorità? – Noi e pochi altri non siamo i soliti castigamatti, ma le istituzioni locali devono tutelare il territorio e gli aspetti e il patrimonio storici, che sono autentiche testimonianze della Storia locale.
Forse tanti non sono amanti della Storia cittadina, ma che la ignori chi è preposto a tutelarla è grave. C’è da precisare che questo è avvenuto non in questi giorni ma tempo fa e, forse, in tutti i tempi della nostra storia patria.
Per capire come si procede facciamo un esempio di non secondaria importanza. Sulle colonne di “Confronto” si è scritto, a più, riprese del prete Fedele Marchianò che, avendo sposate le idee giacobine, nell’occupazione francese del regno di Napoli fu, poi, condannato a morte. Gli accusatori erano gli invidiosi suoi confratelli!
Segnalammo una lapide apposta nel luogo della sua sepoltura, che credevamo dispersa dopo i devastanti lavori degli anni cinquanta del secolo scorso. La lapide fu trovata. Da anni l’ACRA tenta, inutilmente, di riattaccarla al suo posto. Eppure questo parroco di S. Maria Maggiore e rettore del Seminario di Bisignano rappresenta non poca importanza per la storia patria.
– Perché è importante riattaccare quella lapide? -, si saranno chiesto i lettori.
Marchianò, abbracciate le idee giacobine, inviso al clero, come già detto, perché vedeva in lui un potenziale concorrente a qualche parrocchia, lo denunciò e subì un processo, nel quale gli fu comminata la condanna a morte. Si salvò scappando nello Stato pontificio. A Roma divenne confessore personale di Letizia Ramolino, madre di Napoleone Bonaparte. Ricordiamo che la Ramolino: dal 1815 visse a Roma presso il fratellastro, cardinale Fesch, a Palazzo Falconieri. Dal 1818 in Palazzo Bonaparte, situato in Piazza Venezia. Riteniamo che questo personaggio abbia, perciò, non poca importanza.
Perché, allora, non s’ interviene, da parte di istituzioni e amanti di storia patria, per rimettere, nella chiesa di S. Maria Maggiore, in Padia, quella lapide che lo ricordava? C’è un motivo a tale impedimento? C’è una persecuzione che va al di là della morte?
Sarebbe ora di mettere la parola fine a tanta manchevolezza: documentare un momento storico ed evidenziare come, sotto la parvenza di motivo politico, nella storia di Marchianò si fosse nascosta, nel tempo, una persecuzione ideologica e di interesse della casta ecclesiastica.
I suoi confratelli, come detto, furono i delatori, una volta caduta la dominazione francese. Altro che amore per il prossimo! Marchianò faceva ombra ad alcuni.
Giuseppe Abbruzzo
un saluto all’Amico Abbruzzo spero, che ti ricordi di me.
Ricambio i saluti.