Siamo uomini o caporali?

Questa espressione, titolo di uno dei film più belli di Totò, è forse l’emblema più eclatante della condizione esistenziale di buona parte dell’umanità in ogni epoca. “Il genere umano – sottolinea Totò – si divide in due categorie: gli uomini e i caporali”. La prima categoria è quella più numerosa, fatta di gente che, quotidianamente, è costretta a sottostare ai soprusi di un altro gruppo di esseri viventi, certo minoritario, ma infido e pericoloso, i caporali, appunto.  Questi ultimi si avvinghiamo sul dorso dei pover malcapitati, soggiogandoli, umiliandoli e esercitando su di essi i soprusi peggiori.

Se ci riflettiamo, ognuno ha il proprio caporale, che può assumere le sembianze di un capo, di un direttore, di un superiore, di un collega più anziano, di un responsabile, di un barone universitario, insomma di chiunque sia nelle condizioni di trovarsi a esercitare un minimo di potere o autorità. La nostra propensione a essere accomodanti, la paura di ritorsioni, le esigenze, la famiglia, etc, sono tali da esercitare un freno alla nostra naturale e spontanea voglia di rivalsa e di reazione, per cui i più subiscono per tutta la vita, mentre il loro amor proprio scema con passare degli anni e l’aumentare dei soprusi. 

I caporali, per loro natura, tendono progressivamente ad aumentare le loro vessazioni, vuoi per non mollare la presa, vuoi per avidità e sete di potere che si autoalimenta. Più la vittima si mostra remissiva, più le angherie aumentato. I caporali, per loro natura, si autoesaltano di fronte alle vittime maggiormente accomodanti. Ai caporali, Totò contrapponeva gli uomini, certamente, nella maggioranza vittime ma, in qualche caso, capaci di reagire e ribellarsi di fronte ai soprusi.

La frase prendeva spunto da una non facile fase della vita del grande attore napoletano: durante la I Guerra mondiale, totò venne assegnato all’88° Reggimento fanteria, a Livorno. Fu lì che si imbattè in un caporale che lo prese di mira particolarmente, facendogliene di tutti i colori. Il caporale assurse, dunque, a emblema di vigliaccheria e mancanza di umanità.

L’espressione, celeberrima, divenne simbolo di una condizione esistenziale ma è anche un monito a scegliere il proprio ruolo nella vita. Contemporaneamente, è anche un avvertimento a non farsi mettere i piedi in faccia. Ciascuno di noi avrà trovato nella propria vita un caporale: sta a noi scegliere se subire o ribellarsi. La seconda opzione è certamente più difficile e comporta, spesso, conseguenze imprevedibili ma alla fine è la condizione essenziale per decretare lo stato di uomo libero e non condizionabile. Dire no al caporale significa rivendicare la propria dignità di fronte a chi tenta quotidianamente di calpestarla. Non è un caso che nel film di Totò del 1955 i personaggi negativi siano sempre interpretati dallo stesso attore, Paolo Stoppa, per rimarcare il fatto che i caporali, in fondo, sono sempre gli stessi, in ogni epoca o condizione.

L’umanità decritta da totò nel film citato fa emergere una visione del mondo tetra se si vuole ma fornisce anche una “uscita di sicurezza”, ossia la reazione al sopruso, che nonostante il prezzo richiesto fa di ciascuno di noi un Uomo.

Comunque la si pensi sulla vita, ciò che emerge è un’umanità fragile, esposta quotidianamente a vari pericoli, di fronte ai quali, la nostra vulnerabilità si carica di sofferenza. Riconoscere la dignità, pur nella nostra vulnerabilità e debolezza, è condizione essenziale per ripensare a rapporti umani autentici e  paritetici. Riconoscere le nostre comuni debolezze non deve autorizzare nessuno ad approfittarne, al contrario deve essere il presupposto per rifondare le basi della nostra comune convivenza.

Massimo Conocchia

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