A proposito di jettatura

La jettatura o malocchio – i Latini la dicevano oculus maleficus proprio perché, ritenevano fosse causata da occhi malvagi -, nella forma più benevola è detta affàscinu. Dalle nostre parti è temuta come la morte. Si ritiene, infatti, che sia terribile negli effetti e, in casi estremi, fulminante. Si è certi, ancora, che oltre a quelli che, volutamente o inavvertitamente, procurano male, per non pronunciare alle loro ammirazioni: – Benadìca!For’affàscinu!Scezziona! ecc. -, ve ne siano altri…

Facciamo i debiti scongiuri, perché quelli sono necessari: corna, toccate nelle parti intime, toccata del cornetto, della gemma di sale, del gobbetto ecc. ecc. ecc.

Tanti sostengono, che vi siano persone che nascono col potere jettatorio. Col solo sguardo, la sola presenza, perfino al solo nominarli, s’inneschi, precisano, qualcosa di nefasto. La casistica sciorinata da alcuni è vasta; si narrano casi inimmaginabili eppure, si sostiene che siano avvenuti.

Diciamo subito, a scanso di problemi: – Formalùocchiu! – e andiamo avanti. Riportiamo un esempio di quanto accaduto a Napoli, nel secolo XIX, dove la credenza è presente nella generalità degli abitanti.

Il marchese C. D’Albergo da Palazzolo in Sicilia, Dio l’abbia in gloria, era (corna facendo), o almeno così si riteneva, un grandissimo jettatore napoletano.

Immaginate i compaesani: al solo a sentirlo nominare facevano gli scongiuri più diversi, per evitarne il malefico influsso. La sua potenza si riteneva tale, che in un libro dell’epoca, dopo la citazione del nome, fu impressa una mano facente le corna.

L’innominabile iniziò la pubblicazione, a puntate, del poema La Spagna liberata (poi pubblicato in volume, in Napoli, nel 1824) e dedicava ogni canto a qualche personaggio ragguardevole o a qualche conoscente. Dedicò i primi tre canti: al re Ferdinando I di Borbone, al ministro Vecchione e alla marchesa Partanna.

Incredibile!… Tutti e tre, poco dopo, esalarono l’ultimo respiro.

Il marchese – dicevano convinti e sicuri i Napoletani – ha colpito! -.

Il marchese Caccavone (1798-1873) (famoso poeta ed epigrammista napoletano, dal Caffè del Molo, dove s’intratteneva con giornalisti e scrittori, chiacchierando del più e del meno, a commento di quanto riportato e che era la notizia del giorno, sulla quale si discuteva, chiacchierava e commentava, facendo scongiuri d’ogni sorta), gli indirizzò la seguente ottava:

Alberghi a Ferdinando un canto offrì…

E repentinamente il re morì.

Poscia a Vecchioni dedicò il secondo…

E Vecchioni partì per l’altro mondo.

Alla Partanna il terzo consacrò…

La Partanna non l’ebbe – e trapassò!

Se ti prudesse di offerirmi il quarto,

marchese mio, prendo la posta e parto.

La posta era la carrozza che, oltre ai passeggeri, portava la corrispondenza, perciò era così denominata.

L’altro Marchese – meglio non nominarlo, anche se trapassato da un pezzo, per prudenza, per salvaguardare voi e me (e, scongiuri facendo) -, che era uomo di spirito indirizzò a Caccavone i seguenti versi:

S’è ver che della Spagna liberata

Tre canti dier la morte a tre persone,

perché Napoli mia fosse salvata

da Rocco, Sterlich, d’Urso e Caccavone

di scrivere prometto un canto solo

pei quattro amici del Caffè del Molo

e questo canto, di migliore effetto,

Napoli liberata sarà detto.

I giornalisti del Caffè del Molo (sono immaginabili gli scongiuri ai quali ricorsero) incassarono il colpo e la cosa finì là.

Giuseppe Abbruzzo

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