Sindaco e maggioranza, esperienza in chiaroscuro
Come anticipato nelle scorse settimane, in vista dell’appuntamento con le urne per il rinnovo del consiglio comunale e l’elezione del sindaco, diamo la nostra lettura del quinquennio amministrativo che ci stiamo lasciando alle spalle. Si tratta di una valutazione, che, in quanto tale, non ha l’ambizione di rappresentare la verità assoluta, ma solo una parziale e onesta lettura. Molto più semplicemente e molto più modestamente sono punti di vista, che magari potranno rappresentare uno strumento di valutazione per chi tra qualche settimana si appresta a votare.
In questa occasione ci occupiamo dell’operato del sindaco Pino Capalbo, dell’esecutivo ( o forse meglio, degli esecutivi) e della maggioranza consiliare.
Capalbo ha vinto le elezioni del 2017 sostenuto da una coalizione con ben sette liste, che ha messo insieme più voti del candidato a sindaco. Tanti candidati portano consensi, ma a risultato acquisito uno schieramento così largo e così numeroso pone più di un problema di governabilità. Intanto c’è da fare i conti prevedibilmente con gli appetiti personali, non sempre legittimi. E qui vorrei spiegarmi meglio: le aspirazioni personali sono sacrosante, ma diventano legittime solo quando incontrano il bene assoluto dell’intera compagine di governo.
Pino Capalbo in questi cinque anni ha dovuto fare il tagliando alla giunta in diverse occasioni. I cambi nell’esecutivo sono naturali, ma quando diventano troppi inevitabilmente si perde di continuità, e quindi di efficacia. L’instabilità ha senza dubbio rappresentato un problema, per il sindaco e per la maggioranza.
Quest’ultima ha dovuto fare i conti con due scossoni tellurici: l’allontanamento di Caiaro e Intrieri e l’ingresso di Mario Bonacci prima e Mario Romano poi.
Caiaro e Intrieri sono stati espulsi dalla maggioranza, ed è stato inevitabile, considerato che le strade con gli ex compagni di ventura prendevano visibilmente direzioni diverse, talora opposte.
Sull’ingresso di Mario Bonacci ci siamo già espressi e, a distanza di anni, continuiamo a pensarlo come un atto “innaturale”. Bonacci nel 2017 si era candidato a sindaco in netta contrapposizione a Capalbo. I due politicamente hanno la medesima provenienza, quindi un elettorato di riferimento comune, e questo ha reso la contesa ancora più marcata.
In avvio di legislatura, e dopo una dura campagna elettorale, vi sono stati momenti di forte tensione, anche personale, tra i due, e questo ha reso ancor più inspiegabile la successiva decisone di un matrimonio politico, consumato in barba ai risultati delle elezioni e agli impegni assunti in campagna elettorale.
Sia Capalbo che Bonacci si sono affrettati a dire che tutto è avvenuto con il coinvolgimento dei rispettivi partiti, ma il punto non è questo. Nessuno ha mai contestato la legittimità formale dell’accordo, ma quella politica.
Se in campagna elettorale rappresentavano proposte antitetiche, un processo di sintesi programmatica non c’è mai stato, c’è stata solo l’adesione di Bonacci e di Articolo Uno alla maggioranza e se c’è chi, tra quelli che li hanno votati, si sente “tradito” da questo passaggio, nessuno si può arrogare il diritto di dargli torto.
Per quanto riguarda l’aspetto amministrativo, Capalbo in questa esperienza di governo ha dovuto affrontare una canonizzazione, un dissesto finanziario e una pandemia, cioè eventi più unici che rari. Niente male.
Sul ritorno turistico e sull’indotto derivante dall’arrivo in città dei pellegrini qualche errore di programmazione è evidente. Quel necessario ruolo di coordinamento delle iniziative imprenditoriali non c’è stato, o almeno nessuno se n’è accorto. Questo tuttavia non alleggerisce le responsabilità del mondo imprenditoriale acrese, che sulle possibili ricadute della canonizzazione dire che è stato assente è un eufemismo.
In ordine al dissesto, le opposizioni dicono che il piano di risanamento è stato un atto dovuto. Questo è vero, ma la capacità di un governo rispetto a un altro è quella di gestire un quinquennio fatto di lacrime, sudore e sangue. E questo è un risultato che Capalbo e la sua coalizione si giocheranno in campagna elettorale.
C’è stato poi il flagello del Covid, con cui dobbiamo ancora fare i conti. Soprattutto nei duri momenti del lockdown generale e della grande incertezza vissuta per una situazione assolutamente inedita, la comunità acrese si è stretta intorno alle istituzioni locali e il sindaco in tutta onestà ha saputo rappresentarne le ansie e l’angoscia, ma è stato anche una guida credibile.
Non sempre tuttavia primo cittadino, esecutivo e maggioranza hanno brillato per risolutezza e chiarezza. Un esempio su tutti: la questione ecodistretto.
La coalizione di governo, sindaco in testa, si è schierata per il sì, ma alla fine ha rinunciato a portare avanti la candidatura del Comune come sede dell’impianto. Perché? Ancora oggi non lo si è capito.
Posso provare a fornire una mia personalissima interpretazione, che è squisitamente politica. Il clima che ha accompagnato il dibattito in città sull’opportunità o meno dell’ecodistretto è stato caratterizzato da una contrapposizione frontale, non sempre motivata da ragioni attinenti alla questione ambientale e di sanità pubblica.
Soprattutto nel fronte del “no”, c’è stato chi ha voluto trasformare il diniego all’impianto in una netta contrapposizione al sindaco e all’amministrazione comunale. Portare avanti la questione fino al pronunciamento diretto dei cittadini avrebbe trasformato il meccanismo referendario in un pronunciamento a favore o contro il sindaco Capalbo. Messa così, un’eventuale sconfitta al referendum avrebbe portato dritto alle dimissioni del primo cittadino.
Ecco perché, a mio avviso, la maggioranza non se l’è sentita di andare fino in fondo. Sbagliando, sempre a mio modesto parere. Perché su certe questioni occorre saper portare gli umori popolari sulle posizioni di chi governa, occorre quel coraggio che invece sull’ecodistretto è mancato. In campagna elettorale comunque se ne riparlerà.
In sintesi: una legislatura segnata da eventi epocali, con meriti ed errori da parte di sindaco e maggioranza. La permanenza di Pino Capalbo a Palazzo Gencarelli dipenderà dalla capacità di fare emergere quelli su questi.
Piero Cirino