Dalla guerra (contro la pandemia) alla guerra (quella vera)

Mala tempora currunt et peiora premunt.

A questa espressione ricorrevano gli antichi romani per esprimere difficoltà in tempi presenti, prevedendone in futuro altre peggiori.

Non siamo ancora usciti dalla pandemia, con i suoi effetti devastanti sulla società e sull’economia, che ecco si affaccia sulla scena mondiale il dramma della guerra, quella vera, che porta dietro di sé una scia interminabile di morti e distruzione.

Vladimir Putin, Presidente della Russia, ha deciso di attaccare l’Ucraina.

L’allarmante aggressione militare, che come ogni conflitto produrrà i suoi esiti più diretti e tragici sulla popolazione inerme, raffigura un effetto collaterale del lungo processo di espansione della Nato oltre i confini impliciti determinati a seguito del crollo del Muro di Berlino nel 1989.

Considerare questo corretto scenario storico, nel quale negli anni si sono costruiti instabili equilibri geopolitici internazionali, potrebbe rappresentare la chiave di lettura per immaginare una soluzione diplomatica al conflitto, che se non fermato rischia di innescare una spirale catastrofica a livello mondiale.

Gli osservatori più attenti, da anni avevano evidenziato il pericolo di una decisa presa di posizione della Russia ai disegni della Nato che, attraverso un graduale quanto sistematico impegno di uomini e di mezzi militari nel confine est dell’Europa, svelava possibili mire espansionistiche.

Sul percorso, anche richiesto dai paesi appartenenti all’ex Unione Sovietica, plasticamente ed efficacemente definito come “sindrome da accerchiamento”, Putin era stato molto chiaro in diversi interventi pubblici.

In un discorso tenuto alla Conferenza di Monaco di Baviera sulla Politica di Sicurezza l’11 febbraio 2007, il moderno Zar affermava, davanti ai leader mondiali, che l’espansione della Nato non aveva alcuna relazione con la modernizzazione del Patto Atlantico o con la garanzia di sicurezza in Europa, ma rappresentava una seria provocazione riduttiva del livello di reciproca fiducia delle forze internazionali.

Alla domanda, di diritto, contro chi fosse intesa questa espansione lo stesso Putin non rispose: evidentemente ed implicitamente si riferiva alla Russia.

Visibilmente, il processo di allargamento della Nato, successivo alla caduta del Muro di Berlino, nodo degli equilibri geopolitici mondiali, rappresentava una linea di confine oltre il quale, cautamente, i paesi non avrebbero dovuto spingersi oltre al fine di scongiurare crisi internazionali.

L’attuale conflitto in Ucraina ne è la più chiara espressione.

Dopo la riunificazione della Germania, i leader dei maggiori paesi della Nato, avevano promesso a Mosca che l’Alleanza atlantica non sarebbe avanzata verso Est «neppure di un centimetro».

Una promessa smentita dai fatti, visto che da allora ben 14 paesi sono passati dall’ex impero sovietico all’alleanza militare atlantica.

Un documento recente, precisamente un verbale desecretato nel 2017, scovato nei British National Archives di Londra dal politolo americano Joshua Shifrinson, collaboratore di un’inchiesta del settimanale tedesco Der Spiegel, dà conto in modo dettagliato dei colloqui avvenuti tra il 1990 e il 1991 tra i direttori politici dei ministeri degli Esteri di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania sull’unificazione delle due Germanie, dopo il crollo di quella dell’Est.

Nel colloquio del 6 marzo 1991, centrato sui temi della sicurezza nell’Europa centrale e orientale, oltre che sui rapporti con la Russia, guidata allora da Michail Gorbaciov, alla richiesta di alcuni paesi dell’Est Europa di entrare nella Nato, Polonia in testa, i rappresentanti dei quattro paesi occidentali, Usa, Gran Bretagna, Francia e Germania Ovest, impegnati con Russia e Germania Est nei colloqui del Gruppo c.d. 4+2, concordarono nel definire «inaccettabili» tali istanze.

 Il diplomatico tedesco occidentale Juergen Hrobog, stando alla minuta della riunione, disse: «abbiamo chiarito durante il negoziato 2+4 che non intendiamo fare avanzare l’Alleanza atlantica oltre l’Oder. Pertanto, non possiamo concedere alla Polonia o ad altre nazioni dell’Europa centrale e orientale di aderirvi».

Tale posizione, precisò, era stata concordata con il cancelliere tedesco Helmuth Khol e con il ministro degli Esteri, Hans-Dietrich Genscher.

Nella stessa riunione il rappresentante degli Stati Uniti, Raymond Seitz, dichiarò: «abbiamo promesso ufficialmente all’Unione sovietica nei colloqui 2+4, così come in altri contatti bilaterali tra Washington e Mosca, che non intendiamo sfruttare sul piano strategico il ritiro delle truppe sovietiche dall’Europa centro-orientale e che la Nato non dovrà espandersi al di là dei confini della nuova Germania né formalmente né informalmente»

Appare chiaro che gli impegni, anche se non formali, non sono stati mantenuti.

Ora, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, siamo entrati nell’ambito dell’imponderabile, potendosi generare a cascata effetti dagli esiti catastrofici.

L’aggressione militare, come ogni azione bellica, è deprecabile sotto ogni profilo morale ed etico e va assolutamente fermata con una urgente ed immediata intesa su un cessate il fuoco.

Su questo e nel complesso degli accordi da raggiungere tra i paesi in conflitto, il ritorno alla diplomazia, tenendo ben presente la condizione dirimente implicita tra le parti, è l’unica strada possibile per evitare il baratro di un conflitto su scala mondiale.

Angelo Montalto

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