Violenza simbolica
La violenza simbolica è una forma di violenza esercitata non tanto con la diretta azione fisica, quanto piuttosto con l’imposizione di visioni del mondo, di ruoli sociali, di categorie cognitive da parte di soggetti dominanti verso soggetti dominati. Si tratta di una violenza dolce, invisibile, opaca, subdola, esercitata con il consenso quasi inconsapevole di chi la subisce. Si tratta di una violenza che nasconde rapporti di forza sottostanti alla relazione nella quale quella forma di violenza si configura. E’ una importante categoria di analisi formulata dal sociologo francese Pierre Bourdieu in alcuni studi svolti nel sistema scolastico francese. I casi indagati dall’autore forniscono esempi di forme di imposizione e di arbitrio nell’azione pedagogica dove si vede in particolare la replicazione del dominio maschile sulle giovani donne tramite relazioni che “naturalizzano” le differenze tra i generi attuando relazioni di potere che si ripercuotono sul corpo di soggetti che vengono dominati, spesso femminili. Si tratta di una sorta di imposizione sottile, occulta che si esprime nei rapporti sociali, attraverso l’uso di particolari categorie cognitive e emotive. Si manifesta in forme apparentemente intangibili ma con una attenta osservazione dei comportamenti individuali e sociali configurano veri e propri rapporti di forza tra chi la esercita e chi la subisce. Per esempio, nelle relazioni pedagogiche dove il docente si mette in una situazione più elevata e gerarchica rispetto agli studenti e alle studentesse che sono posti e schiacciati in una situazione di subalternità. L’aspetto di violenza viene mascherato dalla burla, dalla risata, dalla battuta, da forme linguistiche di apprezzamento sessista che mostrano l’imposizione di un arbitrio culturale maschile. Nel sistema educativo la violenza simbolica si esercita su persone giovani che ai docenti sono affidate e si esprime attraverso forme di violenza che possiamo chiamare dolci, impercettibili, infinitesimali. Si tratta di una violenza emotiva, si esercita con la complicità di strutture psicologiche che non sono consce, le quali – per esempio nel caso della dominazione maschile – si apprendono attraverso la maniera di comportarsi, la maniera di sedersi – gli uomini non si siedono come le donne, per esempio. Nella maggior parte delle società, soprattutto quelle tradizionali, si insegna alle donne ad abbassare gli occhi quando sono guardate.
C’è poi però una possibilità: la “presa di coscienza” che porta i soggetti a riconoscere le forme di dominazione e di violenza simbolica e a denunciarli. La dominazione maschile, anche negli spazi pedagogici, si è sempre espressa attraverso i corpi: battutine, modi di dire, luoghi comuni che vanno a insistere su timidezze, incertezze, vergogna, tutti sentimenti e situazioni che spesso (quasi sempre) sono le donne a dover subire e gestire. Questa è la violenza simbolica. Spesso vi si partecipa senza accorgersene, sottovalutandola o nascondendola sotto il tappeto.
È quello che è successo nel liceo di Castrolibero, dove un docente ha usato per anni violenza “più” che simbolica nei confronti di molte studentesse. La pandemia con la sua distanza ha fatto maturare le coscienze e molte ragazze che, in modo solidale, hanno preso consapevolezza della violenza e si sono messe a parlare, senza paure, senza vergogna, con voce alta e ferma. I docenti e la dirigente (ora a rischio del suo posto) sapevano del comportamento dello sfrontato, criminale, colpevole e maschilista professore, facevano però finta che non fosse nulla, “cosa c’è di male nel fare apprezzamenti verso una giovane studentessa, dai su non esageriamo”. La violenza simbolica è partecipata da chi non la denuncia. Le studentesse e gli studenti hanno preso coscienza e voce, l’hanno riconosciuta e denunciata. Ora in quella scuola nulla sarà, per fortuna, come prima. Meditiamo.
Assunta Viteritti