Esperimenti di volo ante litteram
Nel 1700 il volo di un aeromobile costituiva un avvenimento eccezionale da far guardare estasiati verso l’alto. Un precursore è Padre Bartolomeo Gusmão, del quale non si sa, però, se avesse mai fatto volare qualcosa o se gli fosse stato impedito di farlo dai “progressisti”. Ricordiamo che i fratelli Mongolfier il pallone lo fecero volare davvero nel 1783.
Prima di riportare di un esperimento interessante, ricordiamo che nel Museo borbonico vi sono esempi di petauristi, facenti parte della familia degli schiavi. Questi erano uomini “che eseguivano diversi esercizi acrobatici in una macchina volante – scrive E. Guhi – il petauron, intorno alla cui struttura noi siamo completamente all’oscuro, sia perché troppo scarse e manchevoli le notizie degli scrittori, sia per la totale mancanza di testimonianze monumentali”. È ovvio che, in questo caso, non si trattava di macchine volanti come le intendiamo noi, ma di macchine circensi.
Ecco l’esperimento detto di sopra. La trascrizione è pedissequa.
Il 18 ottobre 1785 si scrive da Londra, diretta in Italia, una lettera che appare incredibile perfino a chi ne scrive: “Trovasi qui, pochi giorni fa arrivato dall’Indie Orientali, e ultimamente da Lisbona, un Uomo d’un talento il più sorprendente, che siasi veduto nel Mondo. Dice egli essere un Religioso Italiano, nativo di Civitavecchia per nome Andrea Grimaldo, in età di 50 anni in circa, e di statura mediocre. Passò venti anni sono per ordine del Padre Provinciale a viaggiare nei Paesi d’Oriente i più rimoti, dove dopo aver supplito ai doveri del suo Ministero, diedesi per lo spazio di quattordici anni con grande fatica e spesa alla costruzione perfetta di una Macchina la più maravigliosa e stupenda, che abbia mai potuto produrre l’arte Meccanica e la Matematica. Questa è una Cassa d’un curiosissimo lavoro e tessitura, la quale con l’aiuto di alcuni ordigni da orologlio si alza nell’aria, e va con tal leggerezza, e rapidità di forza che viene col suo volo a fare di viaggio sette leghe in un’ora”.
La macchina, all’epoca, non poteva non destare meraviglia. Ecco com’era fatta: “Essa è fatta a foggia d’un uccello: le ali da cima a cima hanno ventidue piedi di estesa: il corpo è composto di pezzi di sugghero artisticamente insieme uniti, e ben connessi con filo di metallo, coperti con cartapecora e piume: le ali sono fatte di budella di Gatto, e a fuste di Balena, coperte anch’esse di detta carta, e piume, e ciascun’ala è piegata in tre giunture al solito. Nel corpo della Macchina contengonsi trenta ruote di singolar lavoro, con due globi di ottone, e piccole catene, le quali alternativamente annaspano un contrappeso; e con l’ajuto di sei vasi d’ottone, pieni d’una tal quantità di argentovivo, che scorrono in alcune scanellature, con divisioni in esse, la Macchina vien tenuta dall’assistenza dell’Artista nel dovuto equilibrio e bilancia. Col mezzo poi dello stropicciamento d’una ruota d’acciaio di tempra adequata, e d’un ben grosso e sorprendente pezzo di calamita, il tutto vien tenuto in un regolato motto progressivo, durante però un giusto temperamento dei venti; poiché la Macchina non può volare, tanto in tempo di total calma, quanto in quello d’una burrasca”.
Ecco come era guidata: “Questa prodigiosa Macchina è diretta e guidata da una coda lunga sette palmi, la quale è attaccata alle ginocchia, e ai nodi de’ piedi dell’Artista con striscie di cuojo; e con o stendere ch’ei fa delle sue gambe, o alla destra, o alla sinistra, egli muove la Macchina da qual parte gli aggrada. La testa è parimente fatta in bellissima forma, e rappresenta quella d’un aquila. Il rostro intero è formato da un corno diafano e curioso d’un becco Arabico. Gli occhi sono di vetro, e al naturale quanto se fossero vivi, giranti sopra un asse aldidentro, con l’ajuto di due fili attaccati al rostro di ferro: lo che fa che gli occhi e il rostro stanno in perpetuo motto durante il volo della Macchina, che è di tre ore sole, e poi le ali si vanno gradualmente chiudendo. Allora l’Artista accorgendosene va gentilmente calando per posare sui propri piedi, per indi rimontare gli ordigni da orologlio, e nuovamente andare ad assettarsi sopra le ali per la continuazione d’un nuovo volo”.
Era sicura per chi la guidava? La domanda la pose l’estensore della lettera: “Egli stesso ci disse, che se per mala sorte si slogasse qualche ruota, o si frangesse qualche susta converrebbegli innevitabilmente cadere con precipizio a terra: e perciò egli non si alza più dell’altezza d’un arbore o due; come pure non si è messo che una sola volta nel rischio di passare il mare, e ciò fu da Calais a Douvres; e la mattina stessa arrivò poi in Londra, dove disse che venne tratto dalla curiosità, anzi dalla fama d’alcuni nostri virtuosi e curiosi professori di Meccanica, i quali a’ giorni nostri sembrano sorpassare qualunque altro del noto mondo, sì per l’invenzione, che per l’esecuzione e perfezione”.
Dice, ancora, di colloqui con persone dotte che sperimentavano il volo: “Egli ha di già avuto colloquio con due dei migliori in detta scienza che, l’hanno veduto operare, e ai quali ha promesso di render compiuto verso il prossimo Natale un intero assortimento di ruote, finite in assai più accurata maniera, e non così soggette ad accidenti, e che occuperanno la metà di luogo delle altre, con questa differenza in aggiunta, che queste si moveranno con più dolcezza, e continueranno a girare lo spazio di sei ore, per far volare la Macchina in ragguaglio di 3o miglia per ora, senza rimontare gli ordini”.
E, le piume, delle quali si è detto? “La dilettevole scelta delle piume, che adornano questo Uccello, sorpassano la credenza, l’immaginazione, e la maestria dei più abili Pittori, per imitare la bella diversità dei colori e ombreggiamenti, che rappresentati si vedono nella più viva maniera in azzurro, oro, rubino, verde, blò, bruno, e bianco colori tutti messi in tal bell’ordine e forma che un egual modo non fu mai veduto”.
Il monaco italiano, non è ricordato fra gli sperimentatori del volo umano, pilotava la macchina a suo piacimento, 33 anni prima dei fratelli Montgolfier. “Egli – si legge nella lettera – ha fatto ultimamente un giro dal Parco di Londra sino alla Loggia di Windsor, e ritornossene addietro, il tutto in men di due ore. Propone di volere nel giorno della nascita di Sua Maestà partire dalla cima del Monumento alle ore 16 d’Italia e fare il giro di tutta la Città di Londra, e suoi Borghi, e andar a posare nel Parco verso le ore 18”. Roba da non credere per quegli anni.
Chi lesse la lettera, pubblicata in un testo del 1751, avrà stentato a credere a quanto si scriveva e pensato che altri l’avrebbero fatto: “Quanto vi dico è vero”.
La lettera dimostra che l’oscuro monaco italiano aveva sperimentato il volo nel 1751, con ottimi risultati e buona autonomia di percorso. Come mai nessuno vi fa riferimento? La lettera, lo diciamo per completezza d’informazione, fu inserita in La storia dell’anno 1751, opera in 4 libri, pubblicata ad Amsterdam, a spese del libraio veneziano Francesco Pitteri.
Giuseppe Abbruzzo