Diseguali fin da piccoli
“Per amore o per forza, per interesse o per passione, per trovare un lavoro, per mio interesse personale, perché lo vogliono i miei genitori, perché non saprei cos’altro fare…”. Tante le motivazioni che tengono i più giovani legati al campo educativo e formativo. Quando c’è un sostegno familiare, un capitale culturale di partenza che può sostenere la motivazione (genitori diplomati o laureati, madri che lavorano) le scelte verso lo studio sono più personalizzate, più orientate, più “naturali”, le traiettorie sembrano essere più facili, minori gli ostacoli che si incontrano. Quando invece il capitale culturale di partenza è meno avvantaggiato (come ancora troppo spesso per le giovani studentesse e per i giovani studenti italiani sia nella scelta delle superiori che della facoltà universitaria) le scelte sono più accidentali, casuali e rischiose.
L’Italia, lo sappiamo, è uno paese poco egualitario, anche dal punto di vista educativo e questa diseguaglianza non è evidente solo nell’istruzione universitaria ma inizia fin dai più piccoli.
Secondo i dati Istat sono infatti pochi gli asili nido pubblici: poco più di 11.000 sul territorio nazionale e coprono solo il 24% della domanda. Il nostro Paese è quindi ben lontano dal 33% di copertura che è fissato dall’Unione Europea. Eppure, gli asili nido sono il parametro minimo che consente alle mamme di lavorare e di continuare a lavorare e sarebbe una istituzione centrale per aiutare a risolvere il problema della scarsa partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
La situazione degli asili nido nelle regioni italiane non è omogenea: mentre in Toscana, Valle d’Aosta, Umbria, Emilia Romagna e nella provincia di Trento ci sono numeri sufficienti per il rispetto del parametro posto della UE nelle regioni del sud siamo sotto la soglia del 10%.
I comuni italiani non investono negli asili nido. Un miliardo e mezzo di euro è, più o meno, l’investimento complessivo che i comuni italiani stanziano per i servizi rivolti alla prima infanzia e quasi il 20% è rimborsato dalle rette pagate dalle famiglie. Un piccolo parametro: in Calabria sono investiti negli asili nido poco più di 4 milioni di euro contro i 233 milioni di euro della Lombardia e i 33 milioni di euro della Campania.
Le diseguaglianze dentro il sistema formativo – che sono amplificate se alla debolezza del capitale culturale familiare e del contesto sociale di riferimento si associa una certa provenienza geografica – iniziano fin da piccoli e il sud, in coda nei numeri degli asili nido, conta ancora quasi del tutto sul welfare familiare o, più facilmente, sulla rinuncia al lavoro da parte delle giovani madri, anche quando sono istruite. Si tratta di circoli viziosi che si rincorrono e si aggravano nel loro intreccio perverso e che hanno come effetto un indebolimento della domanda e dell’offerta di lavoro e anche della richiesta di formazione e di istruzione (soprattutto per le donne). I fenomeni sociali sono sempre legati tra di loro, negli ultimi anni molti studi, sul piano nazionale e internazionale, seguono l’andamento sui territori sul rapporto tra presenza di asili nido e istruzione e lavoro femminile. Le diseguaglianze sono l’esito di processi intrecciati che si amplificano vicendevolmente e la presenza femminile nei mercati del lavoro regionali è sempre negativamente collegata all’assenza di asili nido. Nel nord d’Europa questo legame positivo tra lavoro femminile e numero di asili nido è molto stretto: più asili nido equivale a una maggiore occupazione femminile.
Forse questo può sembrare un problema periferico dalle nostre parti ma solo se si investe negli asili nido si possono nel lungo periodo altre forme di ineguaglianza. Rendere eguali i più piccoli nell’accesso ai servizi educativi è il primo passo.
Assunta Viteritti