Amichevoli riflessioni sulla vita

Lo scorso 30 dicembre siamo stati inviati da un caro e stimato Amico in una nota pizzeria di Acri. Il clima subito disteso, il buon cibo, un calice di birra hanno facilitato un dialogo piacevole e disteso. Dopo qualche chiacchierata su temi di vario genere, la discussione si è fatta quasi automaticamente più seria e riflessiva. Un tragico evento occorso proprio quel giorno – che ha ovviamente scosso un’intera comunità –  ha fatto da innesco. La cosa curiosa è stata che, senza volerlo, tutti e tre i commensali partivamo da punti di vista differenti: l’amico fermo credente, noi agnostici, l’altro ospite decisamente ateo. L’amico, forte di una cultura non comune, facendo ricorso a vari testi, da San Tommaso fino a Zichichi, ci ha esposto la sua visione del mondo e della vita. Era bello ascoltarlo, perché espressione di una fede genuina, non bigotta o settaria ma frutto di riflessioni e elaborazioni autonome di tutto rispetto, oltre che di una grande cultura. La discussione procedeva così agevolmente da dissolvere anche minime tracce di ruggine che, spesso, si depositano nel lungo percorso di vita di ciascuno. Con assoluta naturalezza si affrontavano tematiche sulle quali, per secoli, hanno discettato fior di filosofi e teologi. Alla nostra obiezione e diffidenza verso una fede basata su paure e autoritarismi, il nostro amico, con naturalezza e garbo, ci ha impartito una grande lezione, che abbiamo assimilato piano piano. Partendo da “La legenda del Grande Inquisitore” (parte de “I fratelli Karamazov” di Dostoevsky, che può anche essere letta autonomamente) ci ha espresso la sua posizione e la sua idea di fede, fondata sulla libertà. Alla visione del mondo dell’altro commensale, più chiaramente atea, venivano contrapposte varie posizioni. A Margherita Hack, si ponevano in antitesi altrettanto rispettabili posizioni, che arrivavano a conclusioni diametralmente opposte. Citando un compianto padre cappuccino locale, ci veniva posta una domanda non facile: spiegare come mai, se è vero che l’uomo proviene dalla scimmia, il gorilla è rimasto tale, ossia, come mai alcune specie sono rimaste escluse dal processo evolutivo. Con altrettanto garbo, chiedevamo come mai Colombo, in America, trovò civiltà che ignoravano totalmente l’esistenza di Dio e di Cristo. La discussione si è fatta più seria nel momento in cui l’altro ospite ha posto un problema: il perché della sofferenza e come mai la morte di persone innocenti possa essere compatibile con l’esistenza di un Dio buono.  Partendo da eventi biblici come la “Strage degli innocenti”,  il dolore veniva presentato come una delle sfaccettature di un mistero più complesso e più grande, nel quale i vari aspetti si succedono e completano al pari dei raggi di un caleidoscopio. Di colpo e in maniera naturale, nelle diversità delle reciproche posizioni, tutti e tre siamo addivenuti a un’unica conclusione: l’uomo si contraddistingue per alcune sue peculiarità, a cominciare dal libero arbitrio, attraverso il quale, comunque, ci si rende artefici del proprio destino e ci si assume la responsabilità delle proprie scelte. L’uomo, inoltre, è tale in quanto capace di porsi dei perché, che hanno anche la funzione di migliorarlo, a condizione che si abbiano chiari i propri limiti e che si obbedisca a leggi e principi universali.

Quella notte tardammo ad addormentarci. I quesiti e le risposte di quell’uomo non comune riecheggiano ancora nel nostro animo e fanno rumore.

Massimo Conocchia

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