La beffa del finto Beato Giovanni Calò
Nello scrivere dello Stocchi e della beffa ai danni del ministro Carlo Calò abbiamo fatto riferimento a una particolare truffa, che coinvolse non solo il ministro, ma la Chiesa e la popolazione dei luoghi interessati: la storia del finto beato Giovanni Calò.
Era questi un uomo d’armi che, successivamente pentito, si diede all’ascetismo. La storia costruita da Ferdinando Stocchi è riportata nell’opera altra volta citata di Carlo Calò: Istoria de’ Svevi: De rebus fortiter gestis a Joanne C., Authore D. Joanne Benatio Ordinis Florensis edita Hedune, 1509; e altre pubblicazioni ivi comprese.
Su queste pubblicazioni, totalmente inventate, Stocchi costruì una incredibile impostura. Spiriti annota, nella sua opera: “ma per maggiormente beffarsi dell’altrui mellonagine, non lasciò di darne qualche lume nel fine del Processu Vitae Joan. C., fa, che il finto Beato” avesse dato notizie, in una visione, allo Schener.
Lo Stocchi indica il luogo dove erano i resti del Beato Giovanni Calò. Vi andò con una candela fra le mani, avvolto in un mantello. Per l’occasione fu indetta una processione col clero salmodiante e i fedeli oranti. La processione si snodò fra canti e salmodie, recando le ossa recuperate in apposita urna, mentre quegli rideva dell’impostura messa in atto. Si dice che, mentre si portavano in processione le ossa, Stocchi beato, recitasse i seguenti versi:
Felices asini, qui tot meruistis honores
Quot jam romulei vis meruere Duces.
Questo perché si alludeva alle ossa dell’asino fatte ritrovare, al posto di quelle del finto Giovanni, che lui aveva descritto e che furono collocate in una cappella appositamente costruita. Lo Spiriti scrive che su questo ingannò perfino “un povero Scrittore contemporaneo, con indurlo nell’Opera intitolata: Mirabilium veritas defensu, a citare molte delle sue opocrife Scritture”.
La dichiarazione di Angiolo de Matera e il conseguente atto del notaio, in cui si svelava la mistificazione dello Stocchi, il confessante chiedeva che fosse recapitata al Vescovo di Martorano. Questi “maledicendo la troppa credulità (ndr del Calò), e la ribalderia dello Stocchi, tolse via la Immagine del suo falso Beato, e con decreto del Tribunale della Inquisizione di Roma nel 1680, furono dichiarate apogrife, e proibite tutte le Scritture sul mentovato soggetto pubblicate”.
Interessante, a proposito di Carlo Calò, della beffa e del finto beato Giovanni Calò, è la conferenza tenuta dal prof. Girolamo Scamandrè, nel Circolo calabrese di Napoli, il 25 novembre 1891, dal titolo: “Carlo Calà da Castrovillari ed il suo correttore”. In essa precisava che nel 1665 inviati a Roma gli esemplari delle storia già citata “invece di ottenerne il Breve per la canonizzazione”, dietro le riportate notizie appurate dal vescovo di Martorano, “invece di ottenerne il Breve per la canonizzazione del Beato, ne provenne dalla Inquisizione nell’anno 1680 la proibizione di leggere, possedere o ristampare gl’indicati volumi sotto pena di scomunica, a norma del capo I della Bolla in Coena Domini”.
Sottolinea il citato oratore che mentre Tassoni, Cervantes e Berni creavano le loro opere “non si pervenne, credo, a comporre un millesimo del poema plastico e muto creato dallo Stocchi a tormento e supplizio di Carlo Calà, e durato più che trent’anni dalla sua protasi all’apodesi”.
E deridendo dice: “E donde avrebbe il Calà, senza tale preparazione potuto ritrarre i documenti e le prove, per la storia del Beato Giovanni? Dopo così ampio apparecchio; aggiunto alla notizia del secreto svelato l’universale scandalo delle scomuniche proferite…”.
Ai tempi nostri c’è chi copia ricerche effettuate da altri, senza citarne la fonte. Se uno Stocchi moderno costruisse una beffa simile, assunta poi, così a cuor leggero, come veritiera, vi sarebbe da ridere come avvenne per Carlo Calà, che vide crollare il suo “castello” costruito sulle fandonie.
Giuseppe Abbruzzo