L’età dell’oro
Nei momenti difficili bisogna trovare qualche via di fuga per provare a restare saldi nella tempesta. Ho ripensato in questi giorni ad alcuni titoli usciti negli ultimi anni dedicati agli adolescenti, ai giovani, a come negli ultimi decenni sono diventanti estranei agli adulti anche quando vivono loro accanto.
Siamo abituati a sentire esperti e voci, dentro e fuori dal coro, che presentano analisi pronte a drammatizzare o a minimizzare attorno a quella fase della vita, lunga o breve, in cui le identità fluiscono e si vanno costruendo. Gli appellativi per questa generazione sonostati molteplici: Centennial, Digitarian, GenerazioneZ, Post-Millennial, più recentemente Zoomer. Vivono con la rete, si muovono facilmente da casa per studiare o lavorare, cercano ogni giorno il proprio spazio in un mondo difficile, globale, complesso, ostile e affascinante.
Nei giorni tra Natale e Capodanno, giorni difficili ad Acri, e purtroppo non solo per la pandemia, ho trovato una via di fuga ritornando su tre libri.
Nel primo del 1992, “L’età dell’oro: adolescenti tra sogni e esperienza”, due studiosi italiani, Alberto Melucci e Anna Melucci Fabbrini, un sociologo e una psicoterapeuta, si interrogavano sull’esperienza giovanile contemporanea cercando di spiegarne gli aspetti meno visibili. L’adolescenza come stagionepiena della vita, non una malattia, ma una stagione di turbolenze, di incertezze, un tempo dove si ridefiniscono i confini, un’età che non è solo crisi o disagio ma anche spinta al cambiamento, un’età dell’oro da cui attingere e imparare anche quando si entra in altre fasi dell’esistenza, un tempo tra chi non si è più e chi non si è ancora. È stato un libro-ricerca importante, interrogava gli adulti che spesso invece di mettersi accanto ai più giovani per ascoltarli oscillano tra indifferenza e complicità, ancora troppo impegnati a rimanere in una loro condizione giovanile, incapaci di relazionalità autentica, non moralista e non paternalista.
Il secondo libro è del 2003, il titolo è “L’epoca delle passioni tristi”, gli autori sono due psichiatri argentini, Miguel Benasayage Gérard Schmit che lavorano nel campo dell’infanzia e dell’adolescenza. Si tratta di un libro mosso dalla preoccupazionedella crescente richiesta di aiuto per il massiccio diffondersi delle patologie psichiatriche tra i più giovani. Il lavoro terapeutico li ha condotti a indagare quel malessere diffuso, quella tristezza che a loro avviso attraversa la nostra epoca dominata da quelle che il filosofo Spinosa chiamava le ‟passioni tristi”, quel senso di incertezza che porta a vivere il mondo come una minaccia: viviamo la crisi della cultura moderna occidentale fondata sulla promessa di un futuro da conquistare a tutti i costi. Gli autori suggeriscono che per uscire da questo vicolo cieco occorre portare i giovani a riscoprire la gioia del fare disinteressato, dell’utilità dell’inutile, del piacere di coltivare i propri talenti senza fini immediati. Ancora una volta un messaggio per gli adulti per provare a invertire, nella relazione educativa, la rotta del consumo e dell’ipocrisia della modernità.
Il terzo libro è appena uscito, “L’età tradita. Oltre i luoghi comuni sugli adolescenti” di Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta. Il libro intende smontare gli stereotipi più consolidati sugli adolescenti. Non si arrabbiano se la pandemia li costringe a rinunciare alle esperienze fisiche, si identificano con le fragilità degli adulti, sono stati formati a non frequentare i cortili e i parchi, vivono nelle piazze virtuali, a volte il principale luogo dove sperimentano la loro nascente identità. Gli adulti hanno obiettato che non andava bene, che erano diventati dipendenti da Internet e poi con la pandemia nella scuola fatta a distanza la mancata accensione della telecamera è stata considerata qualche volta assenza dalla scuola. Non sono più trasgressivi, si sono dovutiresponsabilizzare di fronte ad adulti spesso confusi, non affidabilie impreparati. I giovani vivono in modo diverso, hanno molte cose da dire mentre intanto noi adulti abbiamo continuato a costruire un paese che non è per i giovani e a volte li guardiamo senza davverovederli.
Il disagio, la sofferenza, l’incertezza del presente, l’insicurezza nei confronti di sé stessi e della propria identità, la disabitudine alla riflessività, lo smarrimento davanti a sé stessi, si tratta di prove che non tutti riescono a superare. La vita di ognuno di noi oscilla di continuo tra desideri e paure e non sempre i giovani riescono a trovare l’equilibrio tra queste due potenti forze interiori, a volte ne sono sopraffatti o per troppo desiderio inespresso o per troppe paure interiori divoranti e non elaborate.
Le generazioni a partire dagli anni Sessanta hanno interrotto la continuità culturale e valoriale, quelle dei figli e delle figlie non si identificano più con quelle dei padri e delle madri ma la discontinuità generazionale non è un disvalore. Davanti ai più giovani bisognerebbe a volte restare in silenzio, osservarli, rispettarli, amarli sempre, anche quando ci sono estranei, anche quando soffrono, quando si perdono e non riusciamo ad aiutarli. La tempesta più forte spezza le ali degli uccelli più teneri.
Assunta Viteritti