Punti di passaggio obbligati

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In questi due anni abbiamo dovuto imparare azioni che si sono rese necessarie per ottenere scopi allo stesso tempo personali e collettivi. Tutti noi, in più momenti, siamo dovuti passare per dei punti da cui si doveva necessariamente passare: stare a casa, portare la mascherina, disinfettare le mani, stare distanziati. Su questi primi e più drammatici passaggi obbligati il consenso non è mancato. La paura ha disciplinato velocemente i comportamenti e la conformità delle nuove routine l’ha trasformata in premura e auto-protezione.

Nella fase due i vaccini sono diventati i nuovi passaggi obbligati. (quasi) Tutti, almeno nei paesi più ricchi, stiamo passando per quel punto, e molti di noi con una certa soddisfazione. La paura si è ulteriormente trasformata in vulnerabilità, insicurezza e accettazione del rischio. Il virus non è un nemico in una guerra batterica globale ma un fattore patogeno che si diffonde alla velocità di questa nostra società nella parte umana del mondo e che, attraverso il lavoro scientifico, accurato e innovativo, si cerca di conoscere e mitigare. I vaccini sono i principali alleati di questo enorme processo scientifico e tecnologico mirante alla mitigazione degli effetti più gravi della malattia causata dal virus.

La pandemia sta creando nuovi patti intergenerazionali: accettare di far parte di necessarie pratiche di protezione collettiva in modo che i più giovani vaccinati possano proteggere i meno giovani e viceversa. Da questi passaggi obbligati sono stati esclusi per diverso tempo i più giovani, quelli che hanno di fatto sofferto molto, sfiancati dalla scuola da remoto e dalla privazione della ordinaria e vitale socializzazione.

Ora anche più giovani stanno entrando nel flusso dell’autoprotezione collettiva e stanno rispondendo all’invito alla vaccinazione molto meglio di alcune fasce (residuali) di adulti che invece resistono (per paura, timore o ideologia). Prima i maggiorenni e poi quelli tra 12 e 19 anni, una popolazione di milioni di persone che sta rispondendo positivamente e con civismo pratico alla vaccinazione, lo sta facendo in poco tempo, convintamente e anche senza troppi giri di parole, solo perché è giusto e perché bisogna farlo.

Ora anche i più piccoli (dai 5 anni in poi), mentre alcuni tra gli adulti blatera di dittatura sanitaria, hanno invece capito tutto, sentono di essere loro ora i più vulnerabili e iniziano piano piano a sentirsi inclusi nel processo della protezione collettiva derivante dai futuri cicli della vaccinazione. Le autorità internazionali forniscono man mano informazioni rassicuranti, in termini di efficacia e sicurezza e il punto di passaggio obbligato della vaccinazione sta diventando tale per tutti, (quasi) nessuno escluso.

I punti di passaggio obbligati, quelli del distanziamento e del “stay at home” della prima fase pre-vaccino e quelli attuali del vaccino, formano allineamenti nei comportamenti intra-generazionali che hanno l’obiettivo di creare orizzonti comuni e condivisi. I valori, l’etica, la forza di una società si vedono in azione da come una società è capaci di includere le sue parti più deboli. La campagna vaccinale è forse il più massiccio e egualitario processo di inclusione sociale in termini di genere, di età e di classe sociale. I più giovani questo lo hanno capito meglio degli adulti e i passaggi obbligati lungi dall’essere per loro un obbligo rappresentano un varco per affrontare di nuovo il mondo che verrà. D’altra parte, la generazione Greta dei Fridays For Future si era già messa dal lato giusto del tavolo, accanto agli scienziati che da decenni parlano dei rischi del cambiamento climatico. Sono sempre gli adulti ad arrivare tardi ai passaggi obbligati della storia.

Assunta Viteritti

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