Natale e solidarietà: un binomio un tempo strettissimo

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Tra le varie peculiarità del periodo natalizio c’era  la solidarietà, che scattava quasi automaticamente. Si tratta, infatti, di un periodo dell’anno in cui ci si sente più buoni ed inclini al prossimo. La solidarietà scattava soprattutto tra il popolo, ossia tra chi meno possedeva e, per ciò stesso, meglio comprendeva il disagio. Si era soliti scambiarsi le pietanze in modo da permettere a chiunque, almeno la sera della vigilia, di avere la tavola più ricca del solito. Si cercava di raggiungere  o rasentare le 13 pietanze, il cui numero, secondo molti, era da ricondurre alla ricomposizione a tavola di Cristo con i 12 apostoli. In ogni caso, in quei giorni era un andirivieni da una porta all’altra per scambiarsi cibi  e pietanze. Il baccalà la faceva da padrone, sia per la necessità di una cena di magro, sia per il minor costo, oltre che per il fatto che, essendo Acri un paese montano, c’era minore disponibilità e varietà di pesce.  Le fritture erano e sono ancora un elemento immancabile del periodo natalizio, in quanto considerate beneaugurali. Anche quest’ultimo prodotto, ossia i “cullurielli” – termine traslato dal greco “κολλύρα” (kollura), ossia corona, per via della riproposizione della forma – divenivano oggetto di scambio. Molto si è perso in termini di tradizioni natalizie dalle nostre parti e questa festa ha assunto via via delle connotazioni più consumistiche e individaulistiche, parallelamente al miglioramento delle condizioni economiche. Riteniamo, tuttavia, che quello spirito e quella solidarietà rappresentavano in pieno lo spirito del Natale e contribuivano in maniera sostanziale a quel clima di magia che aleggiava in quel periodo e che ora è in buona parte svanito, sacrificato sull’altare dell’ostentazione e della estrema materializzazione di una festa che, in realtà, celebra la povertà e la solidarietà, negata al figlio di Dio che si è fatto uomo tra gli uomini. La nostra generazione, cosiddetta “boomers”, è  quella che vive  maggiormente il divario tra il presente e il passato e che, pertanto, è più portata a fare dei paragoni tra un clima di festa e magia, vissuto sicuramente con maggior parsimonia, e l’attuale atmosfera  certamente più opulenta ma che ci vede meno coinvolti sotto molti punti di vista, a cominciare dalla nostra propensione verso chi soffre e sta peggio.   Un  classico sempre attuale relativo al Natale resta il “Canto di Natale” di Charles Dickens; in quel racconto si evince come il recupero di  una dimensione di umanità e solidarietà sia ciò che da un senso al nostro essere nel mondo e di come l’avarizia e l’egoismo ci rendano abietti e soli.  Recuperare lo spirito natalizio significa anzitutto ricordarsi di chi vive questa festa in condizioni peggiori. Qualche giorno fa, a Roma, nei pressi della stazione Termini, un giovane nordafricano di 28 anni, è stato trovato morto di freddo; non è riuscito a superare il clima gelido e tagliente della notte e ha cessato di vivere nell’anfratto di un portone, mentre ognuno di noi si ritrova, stipati negli armadi, cappotti e giubbotti che non mette più. Questo evento di cronaca, riteniamo, meglio rispecchi l’immagine del tempo presente con la sua progressiva disumanizzazione.

In fondo, se ognuno si privasse di un minimo del suo superfluo, ce ne sarebbe abbastanza per permettere a chiunque di vivere il Natale in maniera dignitosa.  Celebrare degnamente la nascita di Cristo significa anche, diremmo soprattutto, questo. Massimo Conocchia

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