Eventi che (ci) trasformano

La pandemia è un evento straordinario. La scienziata Ilaria Capua fin dall’inizio del 2020, ha sempre parlato della pandemia come di un evento trasformazionale, un evento che non ci lascerà indenni. Non saremo più come prima, resteranno abitudini, nuove routine che faranno per molto tempo parte delle nostre vite. Il virus, una volta addomesticato, diverrà uno dei tanti agenti patogeni con cui ci confrontiamo e confronteremo, le terapie di contrasto alla malattia virale grave saranno nel tempo sempre più efficaci e selettive, ci abitueremo alle vaccinazioni annuali (soprattutto i più fragili tra noi), continueremo a lavarci più spesso le mani, useremo la mascherina se necessario nei luoghi affollati, avremo sempre con noi un disinfettante. Insomma, nuove pratiche vestiranno il nostro quotidiano, simili a quelle lasciate dal virus dell’HIV. Il preservativo, dopo l’epidemia degli anni ’80 non è più solo usato come contraccettivo ma anche come protezione reciproca dalle malattie, comprese quelle virali. Quel virus è ancora presente, perché i virus non scompaiono, restano con noi umani solo che, grazie alla scienza, impariamo a addomesticarli.

La scuola è in questi ultimi due anni è uno dei campi della vita sociale che più di altri è stato coinvolto in questo processo trasformazionale. Molti bambini hanno iniziato la scuola elementare con la mascherina, e forse quasi non hanno ricordi senza che loro stessi o i grandi la indossino. Tra gli studenti delle scuole medie e superiori (e anche tra gli universitari) quasi tutti hanno dovuto rinunciare alle gite scolastiche, ai viaggi di istruzione, alle feste, ai veglioni, ai viaggi, ai concerti, agli Erasmus, alle manifestazioni, alle avventure, alle esperienze inedite, agli innamoramenti passeggeri. Mai come in questi ultimi due anni le famiglie e la scuola si sono trovati a praticare controlli quotidiani così evidenti e severi sulle vite dei più giovani, timori e paure hanno preso il posto della più ordinaria cura del quotidiano della pre-pandemia. La vita di tutti i giorni, nelle aule, nei corridoi, nei bagni scolastici, davanti scuola, è mutata: orari disallineati di accesso e di uscita per le varie classi, frequentazioni post-scolastiche ridotte, distanziamenti e uso delle mascherine in aula e fuori dall’aula, lezioni, esami di maturità e esami universitari fatti da remoto, tutto questo ha trasformato percezioni e vissuti. Non sappiamo in che direzione, in meglio, in peggio? Non possiamo dirlo. Si tratta di generazioni che poco sono andate a ballare nelle discoteche e ai concerti, che hanno aumentato l’uso di social e dei dispositivi digitali. Una accelerazione esperienziale che lascerà tracce. Saranno più timidi e introversi? Smarriti e incerti, saranno forse meno imprenditivi e meno pronti a rischiare? O saranno più riflessivi, maturi e coraggiosi? Avranno cura del futuro? Conterà nelle loro vite la qualità degli adulti incontrati in questi due anni, la fiducia e le rassicurazioni ricevute, conterà quanto, nonostante tutto, dagli adulti di riferimento che hanno incontrato (genitori e insegnanti) sono stati motivati, incuriositi e supportati.

La scuola, che in Italia mobilità complessivamente ogni giorno più di dieci milioni di persone, per tornare in presenza ha dovuto mettere in atto pratiche di controllo e sicurezza quasi militari, bidelli e docenti, per impedire situazioni di contagio, si sono spesso fatti controllori del quotidiano, un ruolo che nessuno ama fare.

Noi però siamo fortunati, abitiamo la parte occidentale e più ricca del pianeta, siamo privilegiati perché abbiamo già la possibilità delle terze dosi di vaccino (gratuitamente), anche i più piccoli saranno presto messi in sicurezza, possiamo ricevere cure, avere accesso a informazioni accurate e sicure. Non è così per tutti, non è così per molti milioni di persone al mondo. Non è così per coloro che scappano con poche cose in uno zaino da guerre, tragedie umanitarie, desertificazione, siccità, discriminazioni, ingiustizie, dittature. Non è così per le migliaia di bambine e bambini che nei confini della Bielorussia, della Turchia, della Grecia, della Libia non solo non vanno a scuola (e chissà per quanto tempo non ci andranno, molti di loro probabilmente mai più), ma soffrono, fino al rischio della vita, di freddo e di fame, e vedono soffrire delle stesse indigenze genitori, fratelli e sorelle, un dolore inimmaginabile che noi vediamo (a volte solo distrattamente) sui nostri televisori ad alta definizione.

Stiamo imparando a uscire dallo straordinario, ne usciremo trasformati, il tempo ci dirà come.

Assunta Viteritti

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